Il Coach è Agile?

Loading

L’Agilità è un “mindset” definito ampiamente nel suo manifesto e soprattutto dalla pratica di oltre vent’anni di attività.

Il coaching è …?

Io lo definisco come un “viaggio” in cui il coach, attraverso domande, permette al coachee (il cliente) di costruire la propria strada verso il suo obiettivo. Una strada realizzata utilizzando risorse già presenti nel coachee. Se poi avete voglia di approfondire potete leggere il mio articolo "Cos'è il coaching".

Ma da “agilista” convinto ed ora da coach professionista ho subito notato un forte parallelismo tra i principi dell’agilità espresse nel manifesto Agile e le competenze del coach.

Iniziamo quindi questo viaggio con l'obiettivo di mettere a confronto questi due mondi apparentemente distanti.

La priorità dell’agilista è soddisfare il cliente attraverso rilasci frequenti (si parla qui tanto di software quanto di altri ambiti). Il coach ha come timeframe la sessione al termine della quale, per definirla di successo, l’obiettivo deve essere raggiunto e le azioni per arrivarci devono essere identificate. Un rilascio insomma. Solo così il cliente è soddisfatto.

Il secondo principio parla di antifragilità: i cambiamenti sono i benvenuti. Un coach è antifragile? Ovviamente lo è. Un coach si “svuota” prima e durante la sessione per seguire, in uno stato di flusso, il coachee. Ma il coachee cambia spesso direzione, rotta, per costruire la sua strada deve guardare in varie direzioni. Il coach non può quindi avere un percorso predeterminato in mente ma deve adeguarsi e adattare le proprie domande in base a quanto emerge.

Il coach ed il coachee sono immersi in una partnership che coinvolge tanto il fruitore, il coachee o cliente, quanto colui che lo segue, il coach. Entrambi sono coinvolti.

Un altro aspetto fondamentale della relazione di coaching è la comunicazione: diretta. Comunicare senza premesse, senza giri di parole, semplice. Il coach porta le sue domande in base al momento. Non pensa al dopo o al prima, sta nel presente, ascolta i ragionamenti e le emozioni del coachee e in quel momento costruisce la costruisce. Allo stesso modo l’agilità si occupa di ciò che serve massimizzando il lavoro non svolto. E’ un concetto interessante e potente, non mettiamo energie nello sviluppare qualcosa che servirà, forse, dopo perché dopo potrebbe non servire più. Nella progettazione Agile quindi ci si concentra sui task che appartengono al ciclo di sviluppo in corso... La similitudine è evidente.

Il coach tende sempre all’eccellenza rispetto alla sua tecnica. E’ portato, anche dal codice etico della propria didattica di riferimento ad una formazione continua e ad un continuo processo di mentoring finalizzato a migliorare le sue stesse tecniche.

Possiamo quindi dire che la relazione tra Agilità e Coaching è forte ma dove può portarci questa consapevolezza?

Nelle aziende dove si introduce l’Agilità ci sono grandi cambiamenti organizzativi, di relazione e di funzione.

E' sicuramente importante avere esperti Agili che aiutino i team a lavorare al meglio , ma lo sviluppo delle competenze emotive e il supporto al cambiamento sono .

Il coach professionista che conosce i concetti dell’agilità può aiutare le persone a riscoprire le proprie risorse e a metterle al servizio degli obiettivi propri o aziendali rispetto al cambiamento in corso.

Agilità, leadership e gioco del tennis

Loading

Introduzione

Imparare un nuovo mindset, come quello Agile, vuol dire cambiare e quindi abbandonare abitudini probabilmente radicate.

Perché farlo?

Se lo facciamo perché questa è la tendenza del momento, la moda, il così fan tutti, il nostro cambiamento probabilmente non durerà molto e avanzerà con passi rigidi e instabili, ma ben controllati. Seguiremo regole ricavate da innumerevoli corsi e manuali per darci una sensazione di controllo. In altre parole studio come applicare il cambiamento.

Se invece lo facciamo guidati da una profonda necessità interiore di cambiamento allora siamo già sulla strada giusta. 

La leadership e l’Agilità sono temi di cui si parla molto.

Come diventare quindi Agili e assumere uno stile di leadership che sia basato sul trust anziché sul control lasciandosi andare?

Facciamo alcune riflessioni aiutati dal percorso che Timothy Gallwey (ex allenatore di tennis, coach e saggista) ci ha descritto nel libro Il gioco interiore del tennis.

Dobbiamo solo disimparare le abitudini, per poi lasciare che succeda

L’obiettivo, come detto, è cambiare il nostro modo di agire. Un cambiamento esteriore non è mai duraturo se non preceduto da un cambiamento più profondo. 

Cambiare “in profondità” è difficile per vari motivi, oggettivi e soggettivi. Tuttavia, senza voler fare un trattato di psicologia, è certo che possiamo iniziare a cambiare agilmente, ad iterazioni successive, concentrandoci su risultati misurabili: risultati non performance!

Si perché il passo è breve. La ricerca di un risultato implica sperimentare, agire e spesso fallire. Il focus non è la certezza del risultato, non cerchiamo garanzie, il focus è il processo, il percorso che attraverso le sue innumerevoli sconfitte ci porta ad apprendere. Siamo soliti pensare che se sbagliamo allora stiamo fallendo. Questo è solo un modo di vedere l’evento negativo. E se iniziassi a pensare che sto semplicemente imparando un nuovo modo per non fare quella cosa? 

In quanti siamo qui dentro

Utilizzando la metafora del gioco del tennis e del giocatore che sta imparando, possiamo vedere la nostra mente come separata in due, i due sé come li definisce Gallwey. Il primo è quello giudicante, orientato alla performance e al successo, il suo obiettivo è quello di riuscire nell’intento ed è completamente rivolto verso l'esterno. E’ quella parte che è sempre attiva, che non si spegne e che genera quel “chiacchiericcio interiore” che continua a farci pensare a qualcosa in qualunque momento ma che non ci serve, se non per tenere impegnata la mente. E’  come un leader che non si fida dei suoi collaboratori anche se sa benissimo che questi sono in grado di svolgere i compiti a loro richiesti. Tuttavia, per mantenere il controllo organizza le loro attività, li monitora costantemente ed indica loro i passi da fare. 

Il secondo sé ha capacità naturali che possono essere attivate con un pò di allenamento, si basano sull’istinto e sulla registrazione di ciò che osservano. L’osservazione e l’imitazione sono le sue prerogative. 

Il primo sé non ha fiducia dell’altro è un controllore, non ama seguire delle strade nuove. In pratica è la nostra parte che ha bisogno di sicurezza, è assolutamente fragile e incapace di riconfigurarsi a fronte di eventi che lo portano a seguire strade nuove, ha il controllo ed è continuamente attivo. Ci trasmette un senso di sicurezza, lui sa come devono essere fatte le cose! In realtà pensa di saperlo perché spesso, pur provando e riprovando non gli vengono affatto bene!

Allora quando giochiamo a tennis e stiamo imparando, ad esempio, a fare il rovescio, ecco che il sé 1 cerca la regola, ripensa al manuale, controlla ogni muscolo al fine di far progredire il braccio così come la teoria insegna che dovrebbe essere e ricordandosi dei feedback avuti dagli allenatori. Siamo nella mente.

Nella stessa situazione, invece, il secondo sé sarebbe perfettamente in grado di cavarsela perché ha sperimentato diversi “rovesci”, alcuni con successo altri meno, ed ha registrato cosa fare nei casi di successo. 

Facendo un parallelismo con il leader, il leader controllore fa esattamente come il sé 1, mentre il leader che lascia spazio di sperimentare e di sbagliare non si muove su un piano mentale ma cerca nell’esperienza. Quest’ultima spesso arriva proprio dal team, che è competente. 

Il Giudizio

Accettato il fatto che siamo composti da più parti, come il divertente film della Disney Inside out ci ha fatto capire, come facciamo a scardinare il meccanismo  e a far emergere uno stile di leadership più trust?

Abbandonando il giudizio.

Un processo di trasformazione è costellato di successi ed errori. Il fatto che un evento sia a noi favorevole o meno è un giudizio soggettivo che va al di là del senso dell’evento stesso.

In un caso o nell’altro una parte di noi, quella che controlla, tenterà di decodificare l’evento per capire cosa modificare per ottenere un risultato favorevole la prossima volta.

A fronte di una particolare catena di eventi negativi si aggiungerà anche una sfiducia generalizzata che spesso viene rivolta agli altri. Questa stessa fiducia si trasformerà in breve tempo in profezia, instaurando un pericolosissimo ciclo che si auto-alimenta.

Possiamo identificare in questo comportamento lo stile di leadership altamente controllante che ha come effetto quello di disincentivare e deresponsabilizzare le persone. Il leader si sostituisce al cosiddetto follower che deve agire senza alcuna legittimazione e indipendenza.

Per questo leader disinnescare il giudizio vuol dire vedere la catena di eventi negativi non come tali e sollecitare una valutazione critica da parte di tutto il team, insomma come un giocatore di tennis che si guarda allo specchio per osservare gli errori nella sua impostazione.

Vuole anche dire aiutare il team ad osservarsi a fronte di eventi positivi, ripercorrere le azioni fatte e le sensazioni. Memorizzare soprattutto queste ultime possono aiutare le persone a ritrovare la motivazione a fronte di passaggi complicati nel progetto che stanno seguendo.

Lasciare spazio

Il passaggio successivo consiste nel lasciare spazio.

Il leader, che ora è riuscito a osservare e tenere da parte il giudizio,  dovrebbe osservare le persone del team per rendersi conto di quello che realmente possono fare.

E’ molto probabile che in questa fase osservi cose mai viste prima!

Il leader sta andando verso l'informazione e non viceversa. Sta andando a vedere la “catena di montaggio per osservare quanto le persone del team sono già in grado di organizzarsi e di compiere azioni non avendo alle spalle un “metronomo” umano, il leader. Se ci concentriamo totalmente su regole, principi del manifesto Agile, manuali e webinar otteniamo un’esperienza assolutamente teorica. Applichiamo una teoria solo per essere certi di avere tutto sotto controllo, invece dovremmo riscoprire un processo di apprendimento naturale.

Cambiare il modello di leadership

L’armonia tra i due sé si ha quando la mente è calma e focalizzata, Goleman lo definisce lo stato di flusso. Solo allora si può raggiungere una performance ottimale.  

Lo psicologo umanista Abraham Maslow ha chiamato tali momenti “esperienze culmine”. Nella sua ricerca sulle caratteristiche comuni tra le persone che hanno vissuto simili esperienze, riferisce le seguenti descrizioni: «Si sente più integrato» [i due sé diventano uno], «si sente un tutt’uno con l’esperienza», «si sente al culmine delle sue potenzialità», «pienamente funzionante», «a pieni giri», «senza sforzo», «libero da ogni blocco, inibizione, cautela, paura, dubbio, controllo,

autocritica, freno», «è spontaneo e più creativo», «più presente», «non si sforza, non ha bisogni, non ha desideri… si limita a essere».  In sintesi, “armonizzare i due sé” richiede che la mente venga rallentata. Calmare la mente significa meno pensiero, calcolo, giudizio, preoccupazione, paura, speranza, sforzo, rimpianto, controllo, agitazione o distrazione. La mente è quieta quando è ferma nell’ora e nel qui, e attore e azione sono un tutt’uno.

Let it happen

La parola chiave è lasciare. Bisogna quindi tagliare fuori il sé 1 comunicando direttamente con il secondo sé definito da Gallwey così come il leader per stabilire una nuova relazione tra pari deve riferisci al suo bisogno interiore di cambiamento. Questo è il motore del cambiamento che va trasmesso agli altri.

Il leader quindi cambiando il suo approccio cambia la comunicazione e lascia spazio anche agli altri.

Si instaura una relazione leader-leader dove, appunto, i componenti del team sono leader di se stessi in una relazione che ormai è passata la trust (fiducia).

Il cambiamento quindi si espande da cambiamento interiore del leader a uno esteriore, come fuori così è dentro potremmo dire utilizzando la legge di corrispondenza di Ermete Trismegisto.

Il Dream Team

Loading

3, 2, 1...si parte

Rotta: il mondo sommerso

dell'Agilità.

Sommerso in quanto non ancora noto in una azienda che inizia ad approcciarlo. Può essere applicato in vari settori, ma come? Un tema molto ampio. Occupiamoci quindi degli approcci possibili.

Nel corso della conferenza Agile4Management tenutasi al Palazzo delle Stelline di Milano lo scorso 22 gennaio sono stati presentati scenari per l'introduzione (con successo) dell'agilità nella gestione dei progetti in alcune aziende come Vodafone, BancaSella, Enelx, Credem.

In tutti i casi è emerso come la comunicazione e la condivisione tra azienda, intesa come management e dipendenti è stata  un elemento fondamentale senza il quale le persone non si sentono coinvolte, valorizzate, legittimate.

Il primo step, come già sappiamo dalla teoria della gestione del cambiamento è creare un senso di urgenza questa è la partenza del nostro viaggio.

Il Senso di Urgenza

In alcuni contesti l'approccio è stato quello di creare una sorta di "Dream Team". Il team di persone, scelto su un progetto significativo, dovrà completarlo nella nuova modalità, utilizzando un opportuno framework Agile. L'approccio quindi è empirico e può darci, al termine, degli ottimi feedback su come  poi agirlo nel resto dell'azienda, magari un team per volta.

Siamo in un'ottica di change management dobbiamo introdurre un cambiamento e per farlo capire dobbiamo avere quell'atteggiamento mentale che potremmo riassumere in questo claim di Steve Jobs:  

stay hungry, stay foolish.

Per senso di urgenza si intende mettere in luce tutte le situazioni che non ci possono più tenere nella confort zone e cosa succederebbe se ci ostinassimo a rimanere. Insomma mantenerci affamati e anche un pò folli. John Kotter, professore emerito di leadership ad Harvard ha realizzato un divertente cartone animato dal titolo Our Iceberg is Melting (Il nostro iceberg si sta sciogliendo) che trovate su Youtube e di seguito linkato, dura solo dieci minuti.

In questo video un gruppo di pinguini si rende conto che l'iceberg dove vive la loro numerosa colonia si sta sciogliendo e non resisterà all'estate. Questa è l'opinione di Fred il pinguino più visionario. Fred prima deve convincere il comitato dei saggi dell'urgenza e lo fa attraverso un esperimento che mostra le conseguenze dello scioglimento dell'iceberg. Il successo dell'esperimento spinge i saggi ad avvisare il resto della colonia e ad attivare un piano di ricerca di una nuova casa. Il processo non è noto a priori, i pinguini imparano man mano che procedono e capiscono non solo che dovranno trovare un nuovo iceberg, ma anche che non potranno più ri-diventare stanziali. Dovranno cercare nuove case in continuazione così come è nella loro natura, spostarsi, modificarsi, evolversi. Stare fermi sarebbe la loro fine.

Il Dream Team

Ritornando quindi al senso di urgenza, una volta creato , il passo successivo è creare un "dream team". Un gruppo di persone che si occuperà di delineare una visione della soluzione, verificarla e poi comunicarla assieme alla necessità del cambiamento. Il dream team deve mettere in atto tutte quelle strategie di supporto rivolte a chi fa fatica ad accettare il cambiamento creando piccoli successi nell'immediato (lavorando a sprint). Il dream team deve anche, se necessario, isolare gli eventuali Signor "no no" ovvero quelle persone che sono sempre contrarie a tutto perchè "nessuno si è mai lamentato della situazione attuale" o perchè "cambiare vuol solo dire cambiare in peggio"; vengono rimossi gli ostacoli. Questi sono atteggiamenti fragili che non puntano a migliorare il sistema.

Nel nostro video infatti i pinguini rifiutano soluzioni che potrebbero irrobustire l'iceberg, come mettere della colla....!!! Perchè come scrive Taleb nei suoi libri, questo comportamento irrobustisce il sistema iceberg ma fino al nuovo evento negativo (chiamato da Taleb il Cigno Nero) . I pinguini decidono di cambiare visione e trovare una nuova casa. Ciò che nel mondo aziendale è  un nuovo sistema, un nuovo prodotto, una nuova metodologia. Stiamo evolvendo a fronte di un bisogno, di una urgenza.

Stiamo realizzando implicitamente l'antifragilità.

Conclusioni

Ecco quindi che, come dicevamo all'inizio, un modo per partire è quello di costituire un dream team che realizzi il progetto secondo le nuove metodologie Agile inserendo varie figure professionali, non solo tecniche. Al termine del progetto questo dream team diventerà il gruppo di "evangelisti" che aiuterà l'azienda ad evolvere mutuando la propria esperienza con all'attivo un risultato appena raggiunto.

Naturalmente questo non è l'unico approccio possibile per introdurre il cambiamento nella gestione dei progetti, ma sicuramente un approccio che di per sè incorpora i principi del manifesto Agile e che raggiunge obiettivi concreti ed analizzabili con metriche che ci consentiranno una successiva analisi. 

Buona visione!

Progettazione Digitale e Pensiero Sistemico: la mente digitale al servizio delle donne

Loading

Si parla tanto di approccio manageriale Agile e di organizzazioni orizzontali, in cui l’innovazione è costante e i cambiamenti si adattano a tutto il sistema attraverso un processo di apprendimento continuo.
L’obiettivo del lavoro agile è cambiare il punto di vista sulla sequenzialità delle azioni da intraprendere per raggiungere gli obiettivi di progetto e sul coinvolgimento in ogni fase di tutti gli attori. Proviamo a pensare ad una giornata-tipo piena di obiettivi da realizzare in cui è difficile delegare pienamente alcune fasi ed è troppo tenerle in carico tutte.


Il problema non è solo attribuire correttamente le priorità o delegare efficacemente, ma è cogliere in
un’ottica sistemica il processo organizzativo ed efficientarlo secondo logiche gestite dagli stessi attori.
Una delle tecniche più utilizzate è il metodo Scrum che consente di procedere per fasi di durata costante e utilizzare il feedback come leva per l’evoluzione dei progetti, tenendo sempre aggiornati tutti gli attori del processo.
Questo consente alle persone coinvolte di esprimere il proprio talento e le proprie capacità piuttosto che
essere controllate.
I team del lavoro Agile (e pensiamo ad ogni forma di organizzazione dalla famiglia, alle associazioni,
all’azienda) si autogestiscono, facendo da manager a sé stessi e auto-organizzando le proprie attività.
E in questo il potenziale femminile può essere molto ben utilizzato.
Il corso si propone di coinvolgere in chiave esperienziale i partecipanti fornendo strumenti pratici in grado di creare consapevolezza e di trasformare i comportamenti.

Destinatarie

Il corso di rivolge a Manager di linea, di staff e di progetto di tutte le funzioni aziendali, ma anche a
tutte le donne che operano in azienda a vari livelli.

Come

Le partecipanti impareranno a:
• Capire l’urgenza del cambiamento
• Acquisire un mind-set agile
• Organizzare il lavoro e le attività dimezzando i tempi e aumentando la leadership di sé stessi
• Prendere consapevolezza dei propri schemi mentali
• Trasformare i comportamenti in azioni positive

Per altre informazioni ed iscrizioni scaricate la locandina del corso sul sito di Human-Acedamy. Il corso si terrà a Milano.

Chi

Il corso sarà tenuto in co-docenza dalla Dott.ssa Rossella Cardinale e da me.

Rossella Cardinale è direttrice scientifica  del Progetto Connessioni (di Human Academy), di cui questo corso fa parte. Rossella, autrice del blog AllenaiPensieri,  è facilitatrice formata alla Pratica collaborativa  e socia dell’AIADC - Associazione Italiana Professionisti Collaborativi. Fa parte di una rete di formatori che offrono servizi alle aziende sul tema dell'intelligenza emotiva e Coordina per AIAS - Confcommercio (Associazione Italiana ambiente e sicurezza) l’Osservatorio “Donne, innovazione e sostenibilità professionale”.
È Professionale Counselor di formazione psicosintetica iscritta al C.N.C.P. e collabora con l’Istituto di psicosintesi di Milano, coordinando gli “Aperitivi letterari”, conferenze sui temi della crescita personale.
Con l'obiettivo di integrare il lavoro su corpo e mente, pratica e insegna Hatha yoga e Pranayama.