Coaching  per migliorare il rendimento scolastico

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Dopo una giornata passata a scuola, una piccola pausa pranzo, si apre il pomeriggio in cui bisogna trovare il giusto bilanciamento tra studio, attività extra-scolastiche, svago, sport.

Può il coaching  migliorare il rendimento scolastico? Vediamo come.

Le scuole, per chi vive nelle grandi città le scuole, dalle medie in poi, hanno richieste sempre più pressanti, performance elevate, compiti che necessitano di ore di concentrazione e studio, medie di voti da mantenere al fine di accedere alle scuole del ciclo successivo.

Come fare a “incastrare” tutto?

“Se faccio un piano e poi arriva l’imprevisto come lo gestisco?”

“Mi sento a volte sopraffatto/a dalla quantità di cose che devo seguire”.

“C’è una soluzione?”

La buona notizia è che ci sono diverse soluzioni, bisogna trovare quella più motivante per te, quella che risuona, quella che ti faccia dire:

 

”Ecco quello che cercavo!”

 

Trovare una corretta e motivante organizzazione dello studio e di tutte le attività della nostra giornata porta a utilizzare meglio le energie e di conseguenza ci saranno migliori risultati.

Non ti sto proponendo un gioco di magia e neanche un tirare ad indovinare ma un serio lavoro di coaching.

Organizzarsi e mettere in fila le cose da fare non basta.

Serve imparare a gestire l’imprevisto, organizzarsi per step successivi, modificare e migliorare l’approccio che è stato scelto, insomma un approccio Agile può davvero portare alla svolta.

I cambiamenti, in questo caso nell’organizzazione degli impegni, vanno ancorati a solide fondamenta motivazionali.

Domani inizio la dieta, lunedì smetto di fumare, settimana prossima farò sport tutti i giorni. Difficilmente queste affermazioni avranno seguito se l’obiettivo non portà in sé un importante valore aggiunto. L’obiettivo in sostanza deve essere carico di motivazione. Il risultato atteso deve davvero portare un cambiamento che ci stimoli talmente tanto da farci da traino.

Eccoci quindi alla classica domanda: come fare?

Anzitutto ti propongo un esercizio, che puoi scaricare gratuitamente qui,  farai una “foto” del modo in cui ti organizzi.

Questo esercizio potrebbe già farti notare qualcosa da cambiare e farti venire idee, se vorrai approfondire il tema e trovare il tuo stile organizzativo, contattami per una sessione gratuita e per capire come il coaching  può migliorare il tuo rendimento scolastico.

Ciò che faccio non e ciò che vorrei, ma cosa vorrei?

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Ci sono momenti nella vita in cui ciò che facciamo non ci corrisponde più.

Ce ne accorgiamo dal nostro stato d’animo, dalle sensazioni di malessere, dalla mancanza di soddisfazione che sentiamo a fine giornata e a volte da un senso di insoddisfazione.

Lo sentiamo dalla mancanza di entusiasmo con cui iniziamo la giornata; siamo totalmente orientati al dovere e per nulla al piacere.

Viene a mancare, o non c’è mai stata, la connessione tra ciò che facciamo e ciò che desideriamo, come se fossimo separati.

Cosa realmente ci interessa? Quali sono le cose che ci fanno “vibrare”? Quale è la nostra vocazione? E’ possibile coniugare dovere e piacere?

Questa situazione può manifestarsi senza un apparente motivo, altre volte c’è un fattore scatenante che potrebbe essere, ad esempio, la perdita del lavoro,  un nuovo ciclo scolastico, la fine di una relazione, il cambio di casa, il superamento di una malattia e così via, o semplicemente “settembre” per molti la ripresa della quotidianità. Gli ambiti possono essere la vita privata, quella lavorativa o studentesca.

Ora che ci troviamo in una situazione non certo confortevole, che fare?

Cosa possiamo cambiare della nostra vita e come? Solo pensare ad un cambiamento ci potrebbe portare in uno stato di malessere anche peggiore. Se cambio come pago il mutuo? E la famiglia? Come gestisco le aspettative che gli altri hanno su di me? Questi sono solo alcuni esempi di pensieri che ci portano a gettare la spugna ancora prima di iniziare.

Rischiamo di entrare in un “loop mentale” che, alla fine, ripropone sempre gli stessi pensieri.

Serve una nuova visione, qualcosa che ci faccia sognare, che aumenti il livello di vibrazione, qualcosa che ci faccia sentire più leggeri.

Può essere utile immaginare di parlare a noi stessi, a quella parte che ci trattiene dal cambiare oppure a quella che ci fa sentire insoddisfatti, o ancora a quella parte che sa cosa vogliamo ma non ce lo mostra.

La nostra parte che ci trattiene è un “sabotatore”  ovvero quell’insieme di limitazioni che ci bloccano: non so fare altro, ho studiato per questo quindi devo assolutamente lavorare in questo settore, prima di muovermi devo aver chiaro tutto lo scenario futuro nei minimi dettagli, chi va in pensione poi si annoia, devo scegliere questa facoltà che sicuramente mi garantirà un posto di lavoro.

Il coach possiede le competenze per condurci, attraverso domande e non solo, verso l’identificazione delle nostre vere aspirazioni, isolando i vincoli e smascherando il sabotatore e quindi le credenze limitanti.

E tu vuoi iniziare a conoscere e dare forma al tuo sabotatore interiore? Scarica questo esercizio e poi, se vorrai ne parleremo magari in una sessione gratuita di prova.

Mi trovi anche sulla piattaforma di coaching Un Bravo Coach

C’è spazio per la spiritualità nei team in ambito lavorativo?

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La Spiritualità

Robert Giacalone e Carole Jurkiewicz, due ricercatori di spiritualità sul posto di lavoro, forniscono questa definizione nel loro articolo del 2003:

“una struttura di valori organizzativi evidenziati nella cultura che promuove l'esperienza di trascendenza dei dipendenti attraverso il processo lavorativo, facilitando il loro senso di connessione con gli altri in un modo che fornisce sentimenti di completezza e gioia."

Connessione, completezza, gioia e quindi benessere, sentirsi parte di qualcosa di più grande generando così un effetto “volano” che migliora il benessere collettivo, dell’azienda, e individuale.

L’approccio è olistico e non potrebbe essere altrimenti. Abbiamo capito ormai che non siamo fatti a compartimenti stagni e che non è davvero possibile non portarsi sul posto di lavoro ciò che siamo e sentiamo nella vita privata. Quindi se modalità di relazione interpersonale ci fanno stare bene, perché non provare a portarle al lavoro? Certo nella vita privata abbiamo più controllo mentre in un ufficio non dipende tutto da noi ma anche dal “mindset” aziendale come Laloux ci descrive ampiamente nel suo libro “Reinventare le organizzazioni”.

Spiritualità dell’individuo

D’altra parte non occorrono anni di meditazione o corsi spirituali di livello avanzato, possiamo incontrare un approccio spirituale anche in comportamenti quali un ascolto empatico, rispetto per se stessi e per gli altri, un linguaggio verbale assertivo.

Sentirsi parte del tutto è un concetto più “alto” rispetto a “star bene nel luogo in cui si lavora”. Goleman, ne parleremo più avanti, affronta questi temi descrivendoci lo stato di flusso, ma la spiritualità è qualcosa che sta “sopra” ed è strettamente connessa al concetto di crescita personale e non solo di crescita professionale.

Quali sono i modi per predisporre il setting per un ambiente di lavoro spirituale?

Prima di rispondere a questa domanda sarebbe opportuno fare un passo indietro o meglio, un passo "dentro". Quali sono gli atteggiamenti che facilitano l’emergere della spiritualità nelle relazioni e sul posto di lavoro?

Anzitutto occorre una buona dose di auto consapevolezza, osservarsi, stare in contatto con le proprie emozioni, osservarle in relazione a ciò che stiamo vivendo. Essere quindi consapevoli e non attori passivi può condurci a identificare aree personali in cui migliorarsi. Questo mood può essere trasposto nell’ambito lavorativo dove  identificare i conflitti è sicuramente più utile che esserne vittima. Il conflitto è una nostra reazione ad un ostacolo, a qualcosa che è differisce rispetto a ciò che ci aspettavamo o a come vorremmo fossero le cose. Di fronte a tale scenario reagiamo facendo muro anziché vedere la situazione come opportunità per modificare le nostre convinzioni in un’ottica antifragile.

Identificarsi con la propria posizione o il proprio incarico è un altro atteggiamento che porta lontano dalla spiritualità. Non siamo ciò che facciamo, la nostra essenza è ben più profonda e ampia. Riconoscerlo vuol dire vedersi come possibili attori di altri destini in grado quindi di portare ricchezza a noi stessi e agli altri nel tentativo di dar vita a quel “volano” di cui abbiamo già parlato.

“Vedere” gli altri, dare loro un feedback positivo spontaneo creare opportunità di condivisione e scambio delle competenze sia hard che soft skills. Un esempio utilizzato in contesti agile sono le "Gilde" ovvero gruppi cross team nati proprio per questo scopo. 

Sicuramente ci sono tecniche che possono aiutare a far emergere e nutrire la spiritualità come la meditazione la mindfullness e possono anche essere introdotte nell’ambito lavorativo.

Ricapitolando

La spiritualità sul posto di lavoro è quindi sempre esistita, spesso soffocata, generando cosi insoddisfazione e frustrazione. Negli anni 60 Mc Gregor ci parla della Teoria X e Y per categorizzare due opposte modalità di gestione del lavoro da parte dei manager. Oggi a distanza di anni e dopo diversi passaggi evolutivi, sebbene non sempre messi in pratica dalle organizzazioni, possiamo iniziare a formalizzare la presenza di una spiritualità sempre sottesa ma mai ben identificata.

La spiritualità quindi propone un diverso insieme di valori che, se coltivati, trasformano il nostro rapporto con il lavoro nel lungo periodo.

Il Coach è Agile?

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L’Agilità è un “mindset” definito ampiamente nel suo manifesto e soprattutto dalla pratica di oltre vent’anni di attività.

Il coaching è …?

Io lo definisco come un “viaggio” in cui il coach, attraverso domande, permette al coachee (il cliente) di costruire la propria strada verso il suo obiettivo. Una strada realizzata utilizzando risorse già presenti nel coachee. Se poi avete voglia di approfondire potete leggere il mio articolo "Cos'è il coaching".

Ma da “agilista” convinto ed ora da coach professionista ho subito notato un forte parallelismo tra i principi dell’agilità espresse nel manifesto Agile e le competenze del coach.

Iniziamo quindi questo viaggio con l'obiettivo di mettere a confronto questi due mondi apparentemente distanti.

La priorità dell’agilista è soddisfare il cliente attraverso rilasci frequenti (si parla qui tanto di software quanto di altri ambiti). Il coach ha come timeframe la sessione al termine della quale, per definirla di successo, l’obiettivo deve essere raggiunto e le azioni per arrivarci devono essere identificate. Un rilascio insomma. Solo così il cliente è soddisfatto.

Il secondo principio parla di antifragilità: i cambiamenti sono i benvenuti. Un coach è antifragile? Ovviamente lo è. Un coach si “svuota” prima e durante la sessione per seguire, in uno stato di flusso, il coachee. Ma il coachee cambia spesso direzione, rotta, per costruire la sua strada deve guardare in varie direzioni. Il coach non può quindi avere un percorso predeterminato in mente ma deve adeguarsi e adattare le proprie domande in base a quanto emerge.

Il coach ed il coachee sono immersi in una partnership che coinvolge tanto il fruitore, il coachee o cliente, quanto colui che lo segue, il coach. Entrambi sono coinvolti.

Un altro aspetto fondamentale della relazione di coaching è la comunicazione: diretta. Comunicare senza premesse, senza giri di parole, semplice. Il coach porta le sue domande in base al momento. Non pensa al dopo o al prima, sta nel presente, ascolta i ragionamenti e le emozioni del coachee e in quel momento costruisce la costruisce. Allo stesso modo l’agilità si occupa di ciò che serve massimizzando il lavoro non svolto. E’ un concetto interessante e potente, non mettiamo energie nello sviluppare qualcosa che servirà, forse, dopo perché dopo potrebbe non servire più. Nella progettazione Agile quindi ci si concentra sui task che appartengono al ciclo di sviluppo in corso... La similitudine è evidente.

Il coach tende sempre all’eccellenza rispetto alla sua tecnica. E’ portato, anche dal codice etico della propria didattica di riferimento ad una formazione continua e ad un continuo processo di mentoring finalizzato a migliorare le sue stesse tecniche.

Possiamo quindi dire che la relazione tra Agilità e Coaching è forte ma dove può portarci questa consapevolezza?

Nelle aziende dove si introduce l’Agilità ci sono grandi cambiamenti organizzativi, di relazione e di funzione.

E' sicuramente importante avere esperti Agili che aiutino i team a lavorare al meglio , ma lo sviluppo delle competenze emotive e il supporto al cambiamento sono .

Il coach professionista che conosce i concetti dell’agilità può aiutare le persone a riscoprire le proprie risorse e a metterle al servizio degli obiettivi propri o aziendali rispetto al cambiamento in corso.