Il coaching come strumento per la leadership agile (parte 2)

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Breve Recap

Nella prima parte abbiamo visto come far evolvere lo stile di leadership parlando di giudizio, stato di flusso, interferenze. Abbiamo quindi analizzato aspetti problematici e desiderata. In questa seconda parte vedremo come poter modificare lo stile di leadership.

Cambiare il modello di leadership

L’armonia tra i due sé si ha quando la mente è calma e focalizzata, Goleman lo definisce lo stato di flusso. Solo allora si può raggiungere una performance ottimale. 

Lo psicologo umanista Abraham Maslow ha chiamato tali momenti “esperienze culmine”. Nella sua ricerca sulle caratteristiche comuni tra le persone che hanno vissuto simili esperienze, riferisce le seguenti descrizioni: «Si sente più integrato» [i due sé diventano uno], «si sente un tutt’uno con l’esperienza», «si sente al culmine delle sue potenzialità», «pienamente funzionante», «a pieni giri», «senza sforzo», «libero da ogni blocco, inibizione, cautela, paura, dubbio, controllo, autocritica, freno», «è spontaneo e più creativo», «più presente», «non si sforza, non ha bisogni, non ha desideri… si limita a essere».  In sintesi, “armonizzare i due sé” richiede che la mente venga rallentata. Calmare la mente significa meno pensiero, calcolo, giudizio, preoccupazione, paura, speranza, sforzo, rimpianto, controllo, agitazione o distrazione. La mente è quieta quando è ferma nell’ora e nel qui, e attore e azione sono un tutt’uno.

La nostra mente sa creare la realtà che vediamo e questo ormai è la stessa fisica quantistica che ce lo dimostra spiegandoci la dualità delle particelle, l’entanglement (ampiamente dimostrato), il principio di indeterminazione di Heisenberg.

Ecco quindi che anche il leader può creare una realtà diversa partendo da una diversa rappresentazione mentale delle persone che ha davanti, guardandole con “occhiali” diversi, o a dirla alla modalità quantistica facendo collassare diversamente la funzione d’onda che crea la nostra realtà a partire da “tutte le realtà possibili”.

Il Coaching

Come il coaching può essere d’aiuto nella gestione della leadership e della relazione tra leader e componenti del team?

Il coach è un facilitatore che, attraverso accordi ben definiti col proprio cliente, lo aiuta a mettere a fuoco gli obiettivi da raggiungere. Obiettivi che sono propri del cliente e azioni, anch’esse messe a fuoco nel corso della partnership di cui il coach è un professionista e in cui il cliente è l’unico responsabile dell’attuazione. Il coach nel corso del processo (una o più sessioni) utilizza una modalità maieutica, estraendo e mettendo in luce ciò che già c’è e creando un rapporto di fiducia in cui il coach deve lasciare spazio.

Il coach aiuta quindi il cliente a creare un ponte tra dove è ora e dove vorrà essere alla fine della sessione, la direzione è il futuro. Si lascia quindi l’analisi del passato ad altre professionalità.

Il coach non è un counselor, non è uno psicologo, non è un mentore e neanche un consulente.

Mi piace pensare al percorso di coaching come il disegno di una mappa del tesoro che si era persa. Il tesoro è sempre lì, dov’era, ma il cliente ha perso la capacità di vederlo e quindi di trovare la strada per raggiungerlo. Il coach non conosce la strada, ma sa prendere per mano il coachee, un passo per volta, facendogli evitare buche troppo profonde in cui è possibile cadere e tenendo accesa una luce che illumina il futuro.

Insieme il cliente ricostruisce una mappa che poi sarà compito e responsabilità del coachee utilizzare per ritrovare il tesoro.

I concetti base del mindset di coaching possono essere riassunti in: fiducia, capacità del coach di mettere a tacere le sue interferenze (creare spazio) e quindi presenza sul coachee, ascolto, etica, relazione empatica, capacità di conduzione attraverso domande, facilitare l’emergere della consapevolezza, orientamento alla crescita, identificazione di azioni volte a raggiungere l’obiettivo desiderato, sensibilità verso il bene comune (Ubuntu: io sono in virtù di ciò che tutti siamo).

Mettendo tutto a fattor comune

Il leader “evoluto” si sente parte del team stesso in una modalità agile. Valorizza le persone e le tiene al centro del processo circondandosi di persone tecnicamente più competenti di lui in modo da creare quello spazio per potersi concentrare sull’aiuto, per spostarsi verso il coaching.

Il leader vuole tenere le persone in uno stato di flusso non solo perché così i team sono altamente performanti, ma perché le persone stanno bene e quindi, in un’ottica collettiva, tutti stanno meglio, siamo in un’ottica di benessere comune.

Gestisce i rapporti con la fiducia (il Trust) al posto del controllo e dove possibile si annulla affidandosi al team, credendo nelle persone ma anche nella sinergia tra tutti. Il leader deve saper togliere le proprie interferenze create dal sé controllore (Gallwey), deve creare spazio dentro di sé per ascoltare l’altro.

Il leader non solo agisce da coach quando serve, mettendo in atto sessioni uno a uno o di team, ma mette in campo tutte le competenze del coaching mindset nella relazione. Relazione che va creata andando a formare team auto organizzati, in cui non si utilizza la delega come panacea, ma si valorizzano le competenze di ciascuno attraverso un modalità di ascolto.

Qui cogliamo però una differenza rispetto al coach. Il leader può essere parte anche indiretta dell’obiettivo. Un esempio, in un team due persone non comunicano e quindi le performance del team stesso degradano. Il leader può anche decidere di offrire sessioni di coaching a entrambi al fine di migliorarne la comunicazione. In questo caso però i coachee non sono gli unici ad avere un vantaggio nel raggiungimento dell’obiettivo, il team ed il leader stesso ne traggono vantaggio. Una soluzione potrebbe essere quella di utilizzare coach esterni in modo da non avere conflitti di interesse.

Il leader deve necessariamente mettere in atto un ascolto attivo attento alla comunicazione e alle forme non verbali. Sa cosa ascoltare e  cosa filtrare. Interroga con stupore potenziando le risorse del team e lasciando andare le credenze limitanti. Il leader considera l’interlocutore con una visione olistica, vede i suoi valori le sue credenze rispettandole.

Il leader pone domande anche scomode mirate ad evocare la consapevolezza. Esplora il pensiero dei suoi collaboratori per mettere in luce le risorse che serviranno a bypassare un ostacolo per rimodellare schemi mentali troppo basati sul sé 1 di Gallwey.

Aiuta quindi tutto il team a crescere e organizza frequenti retrospettive (in un’ottica Agile) in cui celebrare il lavoro svolto, spiega i key points e propone come utilizzare positivamente i fallimenti come opportunità di apprendimento.

Le tecniche di coaching applicate a queste tipologie di leader servono per una presa in carico a tutto tondo del team. La performance è del team , la crescita, la scelta della direzione da seguire  per il miglioramento continuo sono concetti che il leader porta a livello di gruppo, da uno a tutti, mantenendo però una visione olistica e un concetto di tutti come uno.

Il leader agisce quindi come coach nel senso del bene comune creando un substrato di condizioni in cui le persone possono germogliare da sole.

Conclusioni

La parola chiave è lasciare, tagliare fuori il sé 1 comunicando direttamente con il secondo sé definito da Gallwey così come il leader per stabilire una nuova relazione tra pari deve riferisci al suo bisogno interiore di cambiamento, questo è l’avvio del cambiamento.

I pinguini di P. Kotter lasciano non solo un iceberg diventato casa loro, ma anche un modo stabile di vivere, lo avevano imparato nel tempo ma non gli apparteneva davvero.

Reinventare il rapporto professionale tra team e leader ponendosi in una modalità leader-leader e introducendo un’ottica di interdipendenza in un contesto di mutuo aiuto, questa è la direzione.

I componenti del team sono leader di se stessi in una relazione basata sulla fiducia.

Le tecniche di coaching o meglio, il mindset del coaching, è strumento fondamentale per il leader nelle relazioni day-by-day al fine di implementare una comunicazione basata sull’ascolto. 

Il cambiamento quindi si espande da cambiamento interiore del leader a uno esteriore, come fuori così è dentro potremmo dire utilizzando la legge di corrispondenza di Ermete Trismegisto.

Bibliografia

  1. Giuffredi “L’onda del coaching”
  2. Marquet “Turn the ship around”
  3. Goleman “Intelligenza Emotiva”
  4. Gallwey “The inner game of tennis”
  5. Von Sharmer “La teoria U”
  6. D’anna “La scuola degli dei”
  7. Gilmore “Alice nel paese dei quanti”

Il coaching come strumento per la leadership agile (parte1)

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Introduzione

Lo stile di leadership, fortunatamente, sta cambiando. Si passa da una modalità di “command and control” ad una di “trust”. Il cambiamento, tanto necessario quanto etico, è sicuramente stato facilitato dall’ emergere di nuove metodologie di organizzazione del lavoro e di consapevolezza, tra queste l’Agilità ed il coaching.

Il leader non è solo colui che gestisce il team e da’ il ritmo, ma deve utilizzare le leve dell’intelligenza emotiva per entrare in relazione con gli altri, puntando al potenziamento dell’altro. Il leader-coach lavora col singolo ma nell’ottica del gruppo.

Di seguito vedremo come l’evoluzione della leadership può essere agevolata dall’utilizzo di tecniche di coaching per condurre i gruppi Agili  verso un livello di interdipendenza così come dettagliato da John Whitmore nel suo libro Coaching.

La leadership: verso quale cambiamento?

Se vogliamo vedere come un cambiamento di approccio nello stile di leadership abbia delle conseguenze positive, possiamo leggere il libro di D. Marquet “Turn the ship around”. In questo libro l’autore, ex comandante di sottomarini nucleari americani, si rende conto che il paradigma del “command and control” tipico dell’ambiente militare può essere sovvertito. Attraverso una “rieducazione” dalla forma di comunicazione il comandante riesce a far emergere le ottime competenze del suo equipaggio facendolo diventare un alleato. Marquet implementa un modello leader-leader in cui l’empowerment dell’equipaggio  non è avulso dall’emancipazione, dalla liberazione e dal riconoscimento delle capacità del singolo, della sua creatività e del suo valore come persona.

In sostanza empowerment è “un movimento da” e non “un movimento per”: un movimento da dentro e non uno per arrivare subito a qualcosa. Diverse altre fonti autorevoli tra cui Goleman, Kahnemann e Gallwey ci parlano di intelligenza emotiva, stato di flusso, dialogo interiore e interferenze. Von Sharmer attraverso la sua teoria U ci conduce in un viaggio per reinventare il nostro futuro lavorando su temi che possiamo trovare anche nel coaching.

Abbiamo quindi molte tecniche e conoscenze su come funziona l‘individuo e il gruppo.

I tempi, nelle aziende, sono sempre più veloci. Ciò che tecnologicamente è attuale oggi è vecchio tra qualche mese quindi è importante avere team performanti.

Il leader però può non essere più quella figura “grigia” che comanda le persone avendo in mente solo gli obiettivi aziendali ed il processo come unico indicatore di risultato.

Come può cambiare il suo stesso stile e cosa può fare sugli altri? Con quali effetti e soprattutto quali tecniche utilizzare?

Possiamo seguire diverse metodologie e mindset ma ritengo che l’agilità ed il coaching se messi a fattor comune possano fornirci un insieme di tecniche e principi per far evolvere il leader verso una modalità interdipendente in cui i team sono auto organizzati, il leader è anche coach, le persone sono al centro e ci si sposta verso un concetto di intelligenza collettiva tutto all’interno di uno stato di flusso.

Lo stato di flusso

Lo stato di flusso è un concetto spiegato molto bene da Daniel Goleman (psicologo, giornalista e scrittore statunitense) in un bellissimo video che è possibile trovare su youtube “The art of managing with emotions”. Indipendentemente dall’attività, se una persona è in questo stato la sua attenzione è totalmente focalizzata su ciò che sta facendo, è flessibile rispetto agli imprevisti (antifragile), attiva tutte le skill ai massimi livelli e ...si sente bene!

In questo stato le persone sono quindi antifragili: di fronte all’imprevisto non diventano più resistenti facendo comunque “muro”, ma evolvono, cambiano, si adattano tentando di vedere il cambiamento come opportunità.

Anche Paul Kotter ce lo mostra nel suo divertente cortometraggio sui pinguini, anche questo reperibile su youtube e intitolato “Our iceberg is melting”. Kotter vuole raccontarci le fasi principali per introdurre un cambiamento. In questo video emergono la necessità di essere antifragili di fronte ad un evento inaspettato e negativo per la nostra sopravvivenza, guardare avanti, comunicare, provare dandosi obiettivi misurabili e realistici, identificare le azioni e quindi ...partire.

Ecco che emergono concetti del coaching mindset...

In quanti siamo qui dentro

Gallwey nel suo libro “Il gioco interiore del tennis”, utilizzando la metafora del gioco del tennis e del giocatore che sta imparando, ci parla di due sé presenti dentro di noi. Il primo è quello giudicante, orientato alla performance e al successo, il suo obiettivo è quello di riuscire nell’intento ed è completamente rivolto verso l'esterno. E’ quella parte che è sempre attiva, che non si sa spegnere e che genera quel “chiacchiericcio interiore” che continua a farci pensare in qualunque momento ma che non ci serve, se non per tenere impegnata la mente, è un’interferenza. E’  come un leader che non si fida dei suoi collaboratori anche se sa benissimo che questi sono in grado di svolgere i compiti a loro richiesti. Tuttavia, per mantenere il controllo, organizza le loro attività, li monitora costantemente ed indica loro i passi da fare.

Il secondo sé ha capacità naturali che possono essere attivate con un pò di allenamento, si basano sull’istinto e sulla registrazione di ciò che osservano. L’osservazione e l’imitazione sono le sue prerogative, il rispecchiamento è una sua dote. Le neuroscienze ci insegnano che i neuroni specchio sono un meccanismo di apprendimento fondamentale.

Il primo sé non ha fiducia dell’altro, è un controllore, non ama seguire delle strade nuove. In pratica è la nostra parte che ha bisogno di sicurezza, è assolutamente fragile e poco capace di riconfigurarsi a fronte di eventi che lo portano a seguire strade nuove, ha il controllo ed è continuamente attivo. Ci trasmette un senso di sicurezza, lui sa come devono essere fatte le cose! In realtà pensa di saperlo perché spesso, pur provando e riprovando non gli vengono affatto bene!

Allora quando giochiamo a tennis e stiamo imparando, ad esempio, a fare il rovescio, ecco che il sé 1 cerca la regola, ripensa al manuale, controlla ogni muscolo al fine di far progredire il braccio così come la teoria insegna che dovrebbe essere e ricordandosi dei feedback avuti dagli allenatori. Siamo nella mente.

Nella stessa situazione, invece, il secondo sé sarebbe perfettamente in grado di cavarsela perché ha sperimentato diversi “rovesci”, alcuni con successo altri meno, ed ha registrato cosa fare nei casi di successo e l’insuccesso è comunque un apprendimento

Facendo un parallelismo con il leader, il leader controllore fa esattamente come il sé 1, mentre il leader che lascia spazio di sperimentare e di sbagliare non si muove su un piano mentale ma cerca nell’esperienza, come suggerito dall’agilità, prima di tutto gli esperimenti.

L’esperienza e la definizione degli esperimenti sono prerogativa del team, che è (si spera) più competente del leader in questi ambiti.

Il Giudizio

Accettato il fatto che siamo composti da più parti, come il divertente film della Disney Inside out ci ha fatto capire, come facciamo a scardinare il meccanismo e a far emergere uno stile di leadership più trust?

Abbandonando il giudizio.

Lo stile di leadership altamente controllante ha come effetto quello di disincentivare e deresponsabilizzare le persone. Il leader si sostituisce al cosiddetto follower che deve agire senza alcuna legittimazione e indipendenza.

Per questo leader disinnescare il giudizio vuol dire vedere la catena di eventi negativi non come tali e sollecitare una valutazione critica da parte di tutto il team, insomma come un giocatore di tennis che si guarda allo specchio per osservare gli errori nella sua impostazione.

Vuole anche dire aiutare il team ad osservarsi a fronte di eventi positivi, ripercorrere le azioni fatte e le sensazioni. Memorizzare soprattutto queste ultime possono aiutare le persone a ritrovare la motivazione a fronte di passaggi complicati nel progetto che stanno seguendo.

Lasciare spazio

Il passaggio successivo consiste nel lasciare spazio.

Il leader, che ora è riuscito a osservare e tenere da parte il giudizio, dovrebbe osservare le persone del team per rendersi conto di quello che realmente possono fare.

E’ molto probabile che in questa fase osservi cose mai viste prima!

Il leader sta andando verso l'informazione e non viceversa. Sta andando a vedere la “catena di montaggio” per osservare quanto le persone del team sono già in grado di organizzarsi e di compiere azioni non avendo alle spalle un “metronomo” umano, il leader.

Nella seconda parte dell'articolo vedremo come il coaching si integra per estendere le competenze del leader.

Come conquistare i propri sogni in un salto quantico

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La conoscete la storia dei due topolini e del deposito di formaggio all’interno di un labirinto di S. Johnson?

E’ una bellissima storia e in fondo a questo articolo troverete anche il link per visualizzarla su YouTube. 

In questa storia vi riconoscerete...ve la racconto in modo sintetico.

In un labirinto vivevano due topolini: Nasofino e Trottolino e due omini: Tentenna e Ridolino.

I quattro personaggi avevano trovato un deposito di formaggio che dava loro nutrimento.

Ogni giorno i due omini andavano a trovare l’oggetto che dava loro la felicità e se ne nutrivano. I topi facevano la stessa cosa ma...esploravano anche altre parti del labirinto coscienti del fatto che il formaggio sarebbe, prima o poi, finito. Gli omini, col passare del tempo, andavano al deposito con sempre meno entusiasmo, erano certi di trovare il formaggio quindi non avevano molti stimoli di conquista.

In questi primi passaggi possiamo ritrovarci con la nostra vita. Le nostre abitudini ci portano a fare sempre la stessa strada per recarci nei posti in cui dobbiamo andare (es il lavoro) o in cui vogliamo andare. Diventiamo comodi siamo certi della nostra routine di cui ci lamentiamo ma che ci dà sicurezze.

Per Ridolino, il formaggio significava sentirsi al sicuro, farsi un giorno una bella famiglia ed andare a vivere nel posto dei suoi sogni. Per Tentenna, il formaggio rappresentava invece lo strumento per una bellissima carriera, avere schiere di sottoposti e possedere una casa sconfinata con immensa vista mare.

Improvvisamente, ma forse neanche tanto, il formaggio finì!

I due omini rimasero sbalorditi e iniziarono a rattristarsi, per poi cedere a preoccupazione e a sconforto, cercando, come si fa spesso, di identificare qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa della situazione.

Anziché mettersi alla ricerca di un altro deposito, tornarono in quello vuoto ogni giorno, con l’idea che forse sarebbe cambiato qualcosa ma riuscendo a capire una cosa fondamentale: più dai importanza al tuo formaggio più ne vuoi avere.

Intanto gli altri due topolini avevano già scovato il nuovo deposito... Non appena il formaggio era finito, infatti, si erano messi alla ricerca, seguendo il loro istinto, liberi da ogni condizionamento razionale.

Dopo qualche giorno Ridolino si stufò di fare le stesse cose: tornare al deposito vuoto e arrabbiarsi per l’assenza di formaggio. Lamentarsi della propria condizione ma non fare nulla per cambiarla.

Anche questo dovrebbe risuonare con noi non trovate?

Ridolino capì che talvolta le cose cambiano e non tornano più le stesse, che il nuovo formaggio si sarebbe trovato altrove e che se non cambi...rischi di scomparire.

Vogliamo fare questa fine? Rimanere tranquilli nella nostra comfort zone aspettando che il nostro formaggio ci venga portato? Accusare gli altri o le circostanze se siamo ancora qui anziché andare verso i nostri sogni?

Ridolino si immaginava altrove e già l'idea lo metteva nuovamente di buon umore mentre Tentenna utilizzava tutte le sue energie per capire chi avesse potuto spostare il suo formaggio! Era anche certo che prima o poi sarebbe tornato tutto come prima!

Ridolino decise che il momento era giunto, ma aveva paura a pensare di inoltrarsi da solo nel labirinto. Infatti Tentenna non ne voleva proprio sapere di andarsene, era convinto che qualcosa sarebbe cambiato.

Per farsi coraggio Ridolino scrisse una frase "che cosa fareste se non aveste paura?”

Scrivendo questa frase Ridolino aveva fatto il suo "salto quantico", ma ancora non se ne era accorto.

Ridolino intraprese il suo viaggio, dapprima titubante poi man mano che avanzava sentiva in lui sempre più energie, non ne capiva il motivo! Del resto era a digiuno da tanti giorni.

Stava rendendosi conto del suo salto...e scriveva frasi sui muri del labirinto mentre camminava, frasi come "annusa spesso il formaggio, così ti accorgi se diventa vecchio", "seguire una direzione nuova, aiuta a trovare un formaggio nuovo".

Poi ci prese gusto.. e su altri muri scrisse: "quando superi le tue paure ti senti libero", "se immagini di gustare il nuovo formaggio già prima di trovarlo, scoprirai la via giusta per conquistarlo".

Queste frasi (veri  propri riti) non solo gli davano coraggio ed energia ma dimostravano che Ridolino si era lasciato il passato alle spalle, aveva svoltato, era in contatto col suo presente per dirigersi verso i propri sogni! Trovare nuovo formaggio.

Ogni tanto sulla strada incontrava piccole sorprese, pezzetti di formaggio che gli facevano capire si essere nella direzione giusta

Finchè un giorno non arriva al nuovo deposito, ancora più ricco di formaggio.

Ridolino torna dal suo compagno Tentenna per convincerlo ad andare con lui, ma Tentenna è convinto che il nuovo formaggio non gli piacerà, lui vuole quello vecchio, il passato. E' irremovibile.

La storia finisce così, Risolino torna al deposito e dopo qualche giorno sente dei passi ...forse Tentenna aveva cambiato idea…

Questa è la fine della storia o, come dice l’autore, un nuovo inizio...

Mi pare che la storia sia molto autoesplicativa. Dare la colpa agli altri, trovare cause esterne a noi sono tratti caratteristici della crisi in cui ci troviamo. Lo stesso Peter Senge delinea queste tra le cause che portano a rimanere ancorati alla nostra situazione.

Cambiando invece atteggiamento, possibile solo quando ci si lascia alle spalle davvero il passato, possiamo dirigerci verso i nostri sogni.

Non occorre sapere la strada!!!

Ridolino non la sa. Ma scrive che se ti immagini la tua meta allora scoprirai la strada.

Immaginati il tuo sogno, assaporalo, vedilo con la mente e disegnalo se vuoi. Già così le energie inizieranno a crescere per fare il tuo viaggio.

Ogni giorno cambia qualcosa nel tuo stile di vita, i percorsi che fai e come li fai.

Stai attento ai piccoli segnali che ti possono arrivare per farti capire se sei sulla giusta strada.

Dai modo al sogno di realizzarsi e trovalo, spostati con il formaggio una volta che lo hai raggiunto perché ci sarà semrpe qualcuno che te lo sposta

Riferimenti

Who moved my cheese. S. Johnson

La Quinta Disciplina. Peter Senge

 

Imprevisti e Gestione del Proprio Tempo

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Come Organizzo la Giornata

In questo periodo molti di noi lavorano da casa a causa delle disposizioni governative in merito alla situazione sanitaria.

La nostra quotidianità cambia radicalmente soprattutto se abbiamo figli.

In questo articolo propongo l’uso di tecniche spesso utilizzate nella gestione dei progetti con modalità Agile .

Prima delle restrizioni…

Probabilmente la tua vita era scandita da una intensa giornata di lavoro, i bambini da gestire in parte tu e in parte le baby sitter, la spesa, la cena, le attività sportive tue e di tuo figlio. Le cose si complicano per chi ha più figli o per chi li gestisce da solo/sola. Hai comunque trovato una “quadra” per la tua settimana anche se la gestione dell’imprevisto, che c’è sempre, crea non poca ansia...

Dopo le restrizioni

Arriva l’imprevisto. Uno bello grosso in questo caso.  Sebbene arrivato gradualmente, chiusura scuole, smart working e poi chissà, la domanda che tutti si fanno è:

Oddio e adesso come gestisco tutte le mie attività?

Improvvisamente ci troviamo con una serie di attività annullate, altre da gestire totalmente, ed una quotidianità da inventare, tutto in poco tempo e senza sapere se funzionerà.

Aiuto come faccio?

Anzitutto pensiamo che qualsiasi soluzione trovata non è scolpita nella pietra e quindi ben vengano aggiustamenti in corso d’opera accogliendo anche i cambiamenti, sia quello appena avvenuto che i futuri.

I cambiamenti, soprattutto quelli radicali, ci fanno cambiare a nostra volta e ci obbligano ad adottare forme pensiero e azioni che non fanno parte della nostra precedente quotidianità.

Anche se la nostra mente tende ad aver paura del nuovo e a auto proteggersi, come descrivo nell'articolo Le Neuroscienze e il cambiamento.

Bisogna attivare quindi una certa “Agilità mentale” un mindset Agile che ci aiuti a riorganizzare il momento e a modificarlo in continuazione, in base alle necessità. Noi siamo i protagonisti di questo cambiamento Agile, noi e tutte le persone coinvolte (es i nostri figli) che vanno messe opportunamente al corrente creando un team.

In Pratica

Partiamo dal giorno 1.

Oggi e per i prossimi giorni cambia tutto. Tu sei quello che viene definito il product owner e il tuo obiettivo è scrivere su un bel foglio di carta l’elenco di tutte le attività relative a questa settimana. Ma proprio tutte? Sì!

Quando hai terminato inizia, se possibile a mettere di fianco a ciascuna il tempo che impiegherai a farla e anche la priorità. Ad esempio seguire tuo figlio che fa i compiti in remoto con l’insegnante potrebbe avere priorità massima e una durata di due ore ogni giorno. Dove non hai dati precisi prova a stimare.

Inizia il gioco

Eh sì perché va preso un po' come un gioco anche per alleggerire la situazione.

Quando hai terminato l’attività precedente ovvero hai realizzato il tuo Product backlog (PB) rimane da “spalmare” le attività sui vari giorni...eh già ma così qualcosa non torna. Se io pianifico tutta la settimana e poi succede qualcosa martedì, cosa ho risolto? Nulla!

Infatti procediamo in un altro modo

Sprint!

Non Spritz! Ma Sprint. Dobbiamo realizzare la nostra lista di attività, chiamata anche Sprint Backlog per il primo giorno della settimana.

Scegliamo ovviamente le attività con priorità più alta, si ma quante?

Dobbiamo sceglierne tante quanto è il nostro tempo a disposizione o meglio, un po' meno del tempo a disposizione per sicurezza.

Una volta scelte partiamo finalmente con la realizzazione di queste attività, una dopo l’altra secondo le priorità che ci siamo dati.

Al termine della giornata facciamo un piccolo review. Capiamo quali attività abbiamo fatto, quali non siamo riusciti a portare a termine. La prossima giornata ne potremmo fare di più o meglio diminuire? Delle restanti attività settimanali da fare, quelle presenti nel PB, le priorità sono ancora valide? Oppure vanno riviste? E le stime? L’esperienza odierna ci potrebbe portare a rivederle, forse siamo stati ottimisti o al contrario troppo prudenti.

A questo punto ritorniamo a pianificare il prossimo Sprint, ovvero l’elenco di attività che realizzeremo domani. Stiamo in pratica iterando il processo.

Chiaramente ogni imprevisto viene gestito nello Sprint successivo, quindi l’approccio lascia spazio di adattamento di fronte agli imprevisti. Attenzione questo è un passaggio fondamentale…

Resistiamo? No!

Nel nostro processo siamo felici finchè tutto procede bene. Ogni giorno abbiamo il nostro piano di attività e ogni giorno rivalutiamo nella fase di review ciò che abbiamo fatto. Ma che succede di fronte a un imprevisto?

Dovevo fare la spesa e anche portare mio figlio in piscina ma...mi è venuta la febbre!

Resistiamo, mettiamoci qualche giorno in “sospensione” e poi ripartiremo.

NO! Questo no. Non stiamo adattandoci all’imprevisto, stiamo semplicemente resistendo. La resistenza non è altro che un’altra forma di fragilità.

Quindi possiamo, a fronte della nostra febbre annullare lo Sprint che avevamo pianificato e rifarne un altro che tenga conto del nuovo scenario.

Le attività che dovevamo fare ritornano a far parte del Product Backlog per essere pianificate successivamente, non appena ritorneremo operativi.

Intanto facciamone passare avanti altre oppure attiviamoci per costruire una rete di persone che ci possano aiutare in questo momento e nei futuri momenti di crisi.

Riassumendo quindi con questi semplici passi:

  • definire la lista di attività settimanali (PB)

  • definire gli Sprint e i relativi backlog giornalieri

  • fare i review

  • iterare

Possiamo gestire meglio la nostra quotidianità, accogliere i cambiamenti e i cosiddetti "cigni neri" o imprevisti di ogni genere. Il risultato sarà non solo una gestione meno ansiogina ma anche un nuovo modo di organizzarsi e di vivere, siamo cambiati, ci siamo adattati alla nuova situazione.

Un Cono al gusto di Incertezza

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L' incertezza

Il cono di incertezza descrive l'evoluzione del grado di incertezza di un progetto, ma è utilizzabile anche nei percorsi di crescita professionale delle risorse umane così come in ambiti di vita quotidiana.

Risultato immagini per cone of uncertainty

Osservando questo grafico si nota come all'inizio l'incertezza è elevata per poi convergere fino ad esaurirsi. L'alto valore iniziale è dovuto a vari fattori quali: idee poco chiare da parte di stakeholder, specifiche e piani non ben definiti.

Il "cono" è stato rielaborato da Steve McConnell sulla base del lavoro di un esperto di ingegneria del software: Barry Boehm nel 1981. La curva mostra sull'asse orizzontale il tempo mentre l’asse verticale rappresenta il margine di errore che si presenta nelle stime. Tale margine solitamente si riduce notevolmente dopo un terzo del tempo trascorso dall’avvio del progetto.

Applicazioni

Lo vediamo anche nella vita quotidiana. E' praticamente impossibile avere un percorso certo nell'implementazione di una soluzione di un problema complesso. Avanzando ogni elemento si chiarisce. Ma non era, con un pò di sforzo, possibile chiarire i dettagli in una fase primordiale del nostro percorso? 

La risposta è...no!

Anche perchè alcune decisioni rispetto alla nostra soluzione possono esserci chiare solo in fase avanzata e anche grazie al lavoro fatto fino a quel momento. L'unica cosa chiara è l'obiettivo che però può essere raggiunto attraverso diversi percorsi.

Anche nell'ambito delle risorse umane, volendo approcciare un metodo per fare crescere professionalmente una persona, non possiamo pianificare ogni parte del suo percorso senza vedere passo passo come reagisce e, eventualmente, aggiustando il tiro.

Agile pensaci tu

Il mindset Agile ci aiuta e grazie alle sue fase iterative (ad es: Sprint) ci consente di implementare le fasi più "importanti" del nostro progetto per poi valutare ciò che abbiamo fatto e ciò che ancora dobbiamo fare. Ad ogni fase l'incertezza diminuisce e la strada verso il nostro obiettivo si assottiglia fino a diventare un piccolo sentiero. Se ciò non accade il progetto o il nostro percorso rimane in una nube di incertezza e procede con fatica con ricicli sempre più dispendiosi.

Le neuroscienze e il cambiamento

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In questo interessante articolo pubblicato sul Sole24Ore, Come le neuroscienze aiutano nella gestione delle persone di Gian Maria Zapelli, si evidenzia che la nostra mente abbia comportamenti tutt'altro che Agili. Resiste al cambiamento perchè tenta di autoconservarsi, di non provare dolore.

E' innegabile però che chi ha fatto il passaggio da una metodologia tradizionale di project management ad una più agile ha fatto prima di tutto un cambiamento di mentalità. Ironicamente verrebbe da chiedersi se siamo quindi di fronte ad un nuovo paradosso stile Einstein-Podolsky-Rosen?

L'autore dell'articolo sostiene che: "Fortunatamente nella corteccia pre-frontale, solo negli esseri umani, è presente un circuito cerebrale che mette a disposizione due risorse fondamentali, dedicate a completare, se non addirittura contrastare e mutare, il resto della mente. Queste due straordinarie risorse sono il dubbio e l'autocontrollo."

Quindi esercitiamo prima il dubbio, per scardinare comportamenti che non ci appartengono più poi agiamo con l'autocontrollo che ci aiuta ad attuare i nuovi modi, con disciplina e determinazione, al fine di ostacolare il continuo riemergere dei vecchi comportamenti.

Cambiare quindi non è un movimento "verso qualcosa" ma un movimento "da dentro". 

Le neuroscienze ci danno ora la dimostrazione di quello che tutti noi agilisti ma in generale, amanti dei cambiamenti, attuiamo quotidianamente.

Leadership e spiritualità

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Recentemente, un filone americano di studi ha lanciato l’idea di valorizzare il "capitale spirituale" come variabile fondamentale per la produttività delle organizzazioni aziendali e nei luoghi di lavoro.

Di spiritualità se ne parla poco e spesso male, confondendo la spiritualità con la religione. In verità, quando intratteniamo un dialogo costante e fecondo con la nostra anima e ci prendiamo cura dei suoi bisogni la nostra vita prende una direzione diversa. Del resto Gardner, con la teoria delle intelligenze multiple, e Goleman, con il paradigma dell’intelligenza emozionale, hanno già aperto la strada a visioni diverse del nostro modo di farci strada nella vita. L’intelligenza spirituale è la capacità di ascolto dell’anima, quella marcia in più che trasforma la motivazione in passione, la volontà in vocazione, la fiducia in fede e la capacità in responsabilità. Perché, dunque, non utilizzarla come driver nei modelli di leadership?

S. Covey, ne L’ottava regola mette a confronto la leadership come posizione (autorità formale) e la leadership come scelta (autorità morale).

La dicitura "autorità morale" è - di fatto - un ossimoro che racchiude tutta la potenza delle dicotomie generative: autorità morale significa ottenere influenza seguendo principi etici. Autorità morale significa uno stato di presenza, guidato dallo "spirito di servizio" al di sopra di sé stessi.

Quando leader con autorità formale o potere, dato dalla loro posizione, si rifiutano di usarlo se non come ultima risorsa, aumentano la loro autorità morale. Infatti, mettono da parte l’ego e, al suo posto, utilizzano qualità come persuasione, gentilezza, empatia e, in breve lealtà.

Otto Scharmer con la sua U-Theory (una delle metodologia più innovative nel panorama del change management) ci insegna a co-progettare soluzioni efficaci per le organizzazioni, in un panorama complesso, come il mercato del lavoro, caratterizzato da volatilità, incertezza e ambiguità.

Secondo Scharmer la differenza la fa il punto di consapevolezza da cui hanno origine le nostre azioni. E leadership diventa allora la "capacità di spostare il luogo interno da cui operiamo".

Il modo in cui si presta attenzione dà forma al dispiegarsi della realtà sociale attorno a noi, perché l’energia segue l’attenzione.

Ovunque poniamo attenzione come leader, innovatori, genitori, agenti del cambiamento, lì si indirizzerà l'energia del sistema che ci circonda, inclusa la nostra stessa energia.

La chiave della grande leadership risiede, quindi, nella capacità di restare concentrati.

Purtroppo, però, nostra abitudine a pensare per pensare – osserva Kabat Zinn, il fondatore della Mindfulness - ha, tra le varie conseguenze, quella di espellere dalla mente (che qui intendiamo come il nostro campo di coscienza) alcune qualità, in primis, la consapevolezza. Noi tutti tendiamo a sfuggire la consapevolezza per rimanere attaccati ad una visione fasulla del mondo, incentrata su un punto di vista egoico.

La visione del leader oggi, invece, non può più essere quella del capo che si mette davanti al gruppo e lo guida verso gli obiettivi, ma deve necessariamente uscire dalla logica di pensiero ego-centrata, per entrare in uno stato di consapevolezza eco-sistemica e portarsi al passo con la realtà del nostro mondo globalmente interconnesso. Diventa allora fondamentale dotarsi di strumenti di crescita personale che consentano al leader di attivare un nuovo paradigma di pensiero con cui lavorare prima su di sé e poi nel gruppo (di cui lui stesso fa parte). Il nuovo mind-set di competenze implica una qualità di ascolto e di presenza che consentano al leader di percepire le sfide del futuro, di ispirare il gruppo, di creare nuove possibilità di sviluppo.

La leva economica, infatti, non è più sufficiente a spiegare il benessere soggettivo e la felicità è veramente tale solo nella reciprocità. Non è un caso che nel 2006 l’Oms abbia aggiunto alle condizioni del benessere anche quello spirituale, di cui già ci parlava Maslow come ultimo gradino in cima alla piramide dei bisogni.

Ogni uomo deve decidere se camminerà nella luce dell'altruismo creativo o nel buio dell'egoismo distruttivo Martin Luther King

Nel mondo di oggi, in rapida e drammatica evoluzione, l'affermazione di sé dipende sempre più da come interagiamo con gli altri. Lo dimostra Adam Grant, giovane e brillante docente alla Wharton School, che nel libro Più dai più hai traccia tre profili che corrispondono ad altrettanti stili di azione: il giver (colui che antepone il dare al ricevere), il matcher (colui che, nel rapporto dare-avere punta al pareggio), il taker (colui che prende e basta):

I givers di successo sono quelli che hanno a cuore sia gli interessi degli altri che i propri,

diventando strategici nel modo in cui donano. Sono generosi con altri givers o matchers, in modo da massimizzare i risultati. Donare è un comportamento virale, ed i givers, mandando energia positiva nel loro network, attraggono nel tempo persone simili a loro, creando quindi una rete ricca di opportunità condivise con tanti.

Quali sono, allora le qualità che può coltivare un leader che vuole portare spiritualità e benessere all'interno della sua organizzazione?

Inanzitutto la gentilezza.

Oggi il termine “gentilezza” abbraccia una gamma di sentimenti descritti con parole diverse: solidarietà, generosità, altruismo, benevolenza, umanità, compassione, pietà, empatia. In passato questi sentimenti erano conosciuti con altri nomi: philantropia (amore per l’umanità) e caritas (amore per il prossimo). I significati cambiano, ma tutti questi termini rimandano all'idea di “cuore aperto”, cioè essere bendisposti verso gli altri.

In secondo luogo l’ascolto. Secondo Scharmer ci sono 4 livelli di ascolto 1. Ascolto di downloading (ascoltare quel che ci si aspetta di sentire) 2. Ascolto fattivo (prestare attenzione a ciò che ci sorprende) 3. Ascolto empatico (entrare nel punto di vista dell’altro) e 4. Ascolto generativo (connettersi con il futuro, lasciando andare il passato).

L’arte della leadership consiste, allora, nel facilitare il passaggio da un tipo di ascolto ad un altro.

Ed infine la fiducia, intesa come sentimento di base dell’anima, sulla quale si può fondare una vita attiva, dedita al bene e alla giustizia. L’anima è il tutto, è libera, inclusiva e già perfetta così com'è, senza bisogni e senza desideri.

Nella visione egoica si generano energie conflittuali, perché predominano barriere e inquinanti. La visione del mondo animica, invece, crea una campo di energie positive e di relazioni armoniche che possono facilmente divenire contagiosi e contribuire fattivamente a generare benesssere e crescita feconda in qualunque organizzazione.

Meditate, gente, meditate...

Trovate questo articolo anche sul mio blog, Allena i Pensieri.