Leadership e “Stato di Flusso” dei team

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Introduzione

I team sono gruppi di persone con uno stesso obiettivo. I team sono gestiti, nelle aziende, da diverse figure, in base alla modalità di lavoro adottata, ma in ogni caso le persone che costituiscono un team interagiscono, realizzando una interdipendenza “sociale” e non solo tecnica, i risultati dipendono da tutti e non solo dal singolo. Per raggiungere gli obiettivi prefissati e secondo Johnson & Johnson “Learning together and alone” [3] un team ha bisogno che tutti i suoi membri costruiscano relazioni di “qualità”.

In questo articolo vedremo quali sono le basi di interdipendenza sociale, quali sono gli elementi su cui lavorare per migliorarla e come deve agire il leader del team.

Emotional Intelligence and Team Work

Abbiamo detto che un team è un gruppo di persone, ma un gruppo di persone è un team? No, non sempre. Allora quali sono le caratteristiche che lo definiscono tale? Avere un comune obiettivo? Anche un gruppo di amici che gioca insieme (calcio,volley, ecc) ha un comune obiettivo, ma non necessariamente è un team.

Julio Velasco, ex allenatore della nazionale italiana di pallavolo, in un breve e bel talk che potete trovare su YouTube [3] ci spiega la differenza. In un team devono essere chiaramente definiti i ruoli e le interazioni tra di essi: le persone sono mosse da uno “spirito” comune. 

Lo “spirito” non è una competenza tecnica è una skill da sviluppare all’interno del team, da parte del leader, con tecniche che vedremo più avanti.

In un team si analizza di frequente il percorso: cosa va bene e cosa va male. Se qualcosa va male cerchiamo i problemi o cerchiamo i colpevoli? Ci sono meccanismi in grado di gestire i problemi e gli errori che intervengono al momento opportuno? Se ci sono, allora anche gli errori fanno parte di un processo di apprendimento; altrimenti i processi “errati” si ripeteranno.

Edison, noto inventore statunitense, nel tentativo di mettere a punto la lampadina ad incandescenza, dopo una cospicua serie di fallimenti disse a chi lo accusava di non essere riuscito nei suoi intenti: “Non ho fallito. Ho solamente provato 10.000 metodi che non hanno funzionato.

Quando parliamo di team non stiamo parlando solo di skill tecniche o di know-how derivato dall’esperienza professionale, i team per essere proattivi, positivi ed in evoluzione necessitano che le persone abbiano un buon livello di intelligenza emotiva al fine di creare quel “denominatore comune” di cui abbiamo appena parlato. 

Secondo Goleman [6] l’intelligenza emotiva è composta da 5 elementi: auto-consapevolezza, auto-regolazione, empatia, motivazione e social skills. Vediamoli in dettaglio. 

Self-awareness

L’auto-consapevolezza è la consapevolezza del proprio stato interiore inteso come insieme di emozioni e di vissuti. L’abilità di essere consci dei meccanismi dei nostri pensieri. Una migliore consapevolezza di noi stessi porta, di riflesso, a capire meglio gli altri.

Self-Regulation

E’ l’abilità di gestire le emozioni per facilitare l’avanzamento del progetto assegnato al team.

Nei conflitti, quando si è sotto pressione e con un alto livello di stress è importante auto-regolarsi al fine di mantenere un buon clima di lavoro.

Motivation

La motivazione consente di aiutare i membri meno esperti del team a contribuire al raggiungimento dell’obiettivo. Come vedremo le emozioni sono contagiose e la capacità di “contagiare” la motivazione porta il team a risultati decisamente migliori.

Empathy

Secondo Goleman l’empatia è la capacità di comprendere e di interpretare le emozioni degli altri, nel caso di un team quelle dei colleghi, capire gli altri punti di vista derivanti dai vari vissuti personali.

Social Skills

Le social skills ci servono per cogliere le energie del gruppo in modo sistemico, interagire con altri membri del team, identificare i conflitti in modo consapevole e gestire le tensioni che hanno un impatto negativo sul progetto su cui il team è focalizzato. Attraverso queste skills riusciamo a cooperare e costruire un pensiero positivo e collaborativo all’interno del team.

La comunicazione invisibile nel team

La figura centrale del team è il leader che agisce come motivatore e coach del team. I cinque elementi dell’intelligenza emotiva sono il linguaggio non verbale del team. Attraverso questa forma di comunicazione il leader può mantenere il team in uno “stato di flusso” che porta tutti i componenti a “contagiarsi emotivamente” e a lavorare in un clima decisamente più proficuo. 

 

La ricetta per perseguire questo risultato è quella di avere un team composto da persone che lavorano agli obiettivi che l’azienda ha deciso in un ambiente altamente comunicativo, con le emozioni messe a fattor comune. 

L’esecutore materiale di questa ricetta è il leader che deve quindi conoscere molto bene tutti questi ingredienti.  

Nell’articolo scritto da Buckingham e Goodall, The Power of Hidden Teams, [1] leggiamo  come ricerche degli anni 80 e 90 dello scorso millennio, portate avanti dalla Gallup Organization (una società americana di analisi e consulenza),  per avere individui motivati è necessario avere obiettivi chiari, sicurezza del futuro e human attention da parte del leader nei confronti del team.

Con l’avvento dell’Agilità abbiamo assistito all’emergere di diverse metodologie per la gestione dei team in un’ottica di leadership diffusa. Le persone sono, in questo mindset, poste al centro e quindi riconosciute come elemento fondante di tutto il processo di cambiamento, ne consegue che il loro benessere è fondamentale.

Possiamo quindi porci una domanda fondamentale. 

Cosa vuol dire avere team che “stanno bene”?

Vuol dire creare una situazione di “risonanza” emotiva all’interno di un gruppo di persone al fine di mantenere uno stato di benessere tale da avere conseguenze positive su ciò che si sta facendo, sul progetto, sul singolo task, nei rapporti tra i componenti del team.

Appartenere ad un team raddoppia già di per sé il livello di coinvolgimento [1] infatti le persone si sentono “di appartenere” a qualcosa di tangibile si essere utili direttamente a qualcuno che possono vedere, anche se da remoto, e con cui possono confrontarsi.

Far parte di un team vuol dire essere in una micro-realtà che non necessariamente deve allinearsi alla cultura aziendale. I team sono anche luoghi in cui “ci si lamenta” e in cui si definiscono dinamiche interne non sempre allineate con l’esterno, ma comunque efficienti e funzionanti.

Esaminiamo quindi quali sono i key factors per avere un team in un “buon stato di salute” e soprattutto cosa deve fare un leader per contribuire a avere team di questo tipo.

Ci sono diversi aspetti che possiamo riassumere in questi punti:

  1. Creare nel team ciò che Goleman chiama lo stato of flusso (flow state)
  2. Il leader deve trasmettere fiducia (trust)
  3. Human attention,(sentirsi visti)
  4. Il lavoro prima della location (smart work, family work)

The Flow State

Lo stato di flusso è un concetto spiegato molto bene da Daniel Goleman (psicologo, giornalista e scrittore statunitense) in un bellissimo video che potete trovare su Youtube “the art of managing with emotions”. Indipendentemente dall’attività, se una persona è in questo stato la sua attenzione è totalmente focalizzata su ciò che sta facendo, è flessibile rispetto agli imprevisti, attiva tutte le skill ai massimi livelli e ...si sente bene!

In questo stato le persone reagiscono molto bene all’imprevisto, non in modo “resiliente” concetto a mio avviso da superare, ma in modo antifragile. In altre parole l’imprevisto non ci porta a costruire una corazza ancora più forte o a farci “rialzare” in un modo più determinato, ma va utilizzato come evento, per guidare il cambiamento. L’antifragilità prospera nel disordine e ci spinge a costruire sistemi differenti o modalità di lavoro/comportamento che siano più adeguate alle circostanze.

L’arte della leadership quindi è quella di creare i presupposti per tenere le persone nel loro “stato migliore” per lavorare bene ed essere sereni. Troppo lavoro, poco tempo e poca motivazione vanno nella direzione opposta. Come fare quindi? Secondo Goleman utilizzando uno strumento molto potente (che vedremo tra poco) e seguendo alcune linee guida:

  • chiarire gli obiettivi
  • fornire feedback frequenti
  • apprendimento continuo
  • assegnare i task alle persone in base alle loro competenze tecniche
  • assegnare i task considerando il livello personale di ingaggio (faccio quello che mi chiedi perché mi interessa)

Obiettivi chiari sono alla base non solo di una buona gestione dei team ma anche del progetto. Stiamo attenti a non confondere l’obiettivo con la strada da percorrere. L’obiettivo è il fine, ma i percorsi possono essere diversi. Dipendono non solo dal framework di progetto ma anche dai singoli “gestori di progetto”. Cambiare l’obiettivo del progetto destabilizza e cambiarlo in continuazione porta a un disorientamento che, se ripetuto, demotiva le persone.

Durante il percorso per raggiungere l’obiettivo è importante fornire dei feedback altrettanto chiari e continui ai membri del team. Il feedback comunica implicitamente ad una persona il messaggio “ti vedo” ho visto ciò che hai fatto.

L’apprendimento continuo non vuol solo dire essere al passo con la tecnologia. Qui si parla di apprendimento tecnico ed emotivo, si parla quindi anche di momenti in cui si chiariscono i conflitti o ci si confronta sulle modalità con le quali si approccia al problema. Investire in formazione permette di avere persone più motivate e ricollocabili su diversi progetti.

Infine l’assegnazione dei task. In genere segue il ragionamento: assegno questo task a chi ha le skills giuste per portarlo a termine nel tempo richiesto. C’è però un secondo parametro da valutare, il livello personale di ingaggio.

Una persona potrebbe essere il massimo esperto di una determinata tecnologia, ma la utilizza da anni. Risolve i problemi in un attimo e i nuovi sviluppi li porta a termine centrando sempre l’obiettivo. Ci siamo mai chiesti se è felice di utilizzarla ancora? E se volesse lavorare con altre skills tecnologiche, magari già conosciute? Stiamo quindi mettendo l’azienda al centro o la persona?

I task vanno, in conclusione, assegnati in modo chiaro e ogni persona del team deve capire bene cosa ci si aspetta da lui/lei.

Ma Goleman ci ha “promesso” un utile strumento, quale?

Lo strumento a disposizione del leader è il meccanismo dei neuroni specchio che ci connettono in modo silente alle altre persone e che attivano un “dialogo” non verbale. 

I neuroni specchio

La scoperta dei neuroni specchio risale a fine anni 90 e ha evidenziato come su alcune specie di scimmie (macachi) si attivano le stesse aree cerebrali sia compiendo un’azione che osservandola in un proprio simile. Negli anni successivi sono stati fatti ulteriori esperimenti per ampliare la conoscenza sui neuroni specchio nelle emozioni e anche agli esseri umani. E’ stato quindi dimostrato, ad esempio, che quando osserviamo certe emozioni o le proviamo, le stesse zone neurali si attivano. 

Questa scoperta è molto importante per chi deve gestire dei team. Vuol dire, ad esempio, che se io sono un leader verbalmente aggressivo, attiverò nelle persone del team gli stessi neuroni che io in quel momento ho attivi, inducendo reazioni analoghe al mio comportamento (aggressività) o un silenzio legato alla conseguente soggezione che provoco nei membri del team. 

Il leader quindi diventa ancora più centrale. 

Non è solo importante ciò che fa, ma come lo fa, come lo dice, quale gestualità e quale emozione porta nel gruppo.

I neuroni specchio sono il meccanismo, o come dice Goleman, l’arma segreta che un leader ha a disposizione per creare la connessione sul piano emotivo con tutto il team. Per questo si dice che le emozioni sono “contagiose”. 

In questo senso si parla di “risonanza emotiva”. La frequenza di risonanza di un oggetto è una caratteristica fisica che ci permette di far vibrare l’oggetto anche senza toccarlo. In altre parole, se emetto un suono che fa vibrare un bicchiere di vetro, quando raggiungo la frequenza di risonanza propria di quel bicchiere, le vibrazioni aumenteranno sempre di più. La frequenza di risonanza ha quindi il potere di indurre ed aumentare lo stato di vibrazione di un oggetto.

Risonanza emotiva è quindi quella capacità, che dovrebbe appartenere al leader di un team, di far “vibrare” le persone sulle corde emotive che si stanno stimolando. Non si tratta solo di essere e mostrarsi felici per indurre felicità, bisogna farlo in un modo più sottile, andando ad intercettare le “frequenze” di risonanza di ciascun membro al fine di ottenere questo effetto.

Il leader deve trasmettere fiducia (trust)

La fiducia è una qualità che il leader deve conquistare a livello profondo. Non deve essere un generico senso di fiducia ma la sensazione che il leader abbia ben presente le caratteristiche di ogni team member e che le sappia utilizzare nell’interesse, soprattutto, della persona.
“Il mio team leader conosce bene ciò che mi appassiona e possibilmente organizza il mio lavoro intorno a ciò”. 

La human attention (sentirsi visti)

Questo tema è molto collegato al precedente, al trust verso il leader. E’ applicabile quando i team non sono eccessivamente numerosi perché l’attenzione si traduce in parlare con le persone e non solo di tematiche lavorative, ma anche di soft skills. Capire oltre la superficie le persone vuol dire assegnare, in una fase operativa, i task in base ai desideri di queste persone. Capire chi preferisce lavorare in remoto e chi in ufficio. 

Lavoro in presenza o lavoro da remoto?

Molti ancora oggi ricorderanno l’episodio del 2013 in cui la CEO di Yahoo Marissa Mayer richiamò tutti i lavoratori a cui era stato concesso il lavoro da remoto. 

I sostenitori del lavoro in presenza dicono che è più facile mettersi in una stanza e parlarsi insieme (vedi gli standup meeting Agili) oppure le tecniche di programmazione che prevedono di utilizzare due programmatori che lavorano su uno stesso pc.

L’avvento del Covid ha un po’ scoperto le carte e ci ha fatto forzatamente essere antifragili. Abbiamo scoperto moltissimi tool virtuali di comunicazione e di condivisione di successo. 

Quindi è possibile lavorare e bene da remoto? Senza generalizzare a tutti i ruoli e a tutti i lavori, direi di sì. Anche nell’articolo “The power of hidden teams” [1] viene riportato uno studio effettuato su 19 paesi (1000 persone per ogni paese) sul tema del coinvolgimento sul lavoro: il 23% delle persone intervistate lavorano da casa e sono più coinvolte di quelle che lavorano in ufficio. Più della metà di questi lavoratori da remoto non si sentono isolati, ma parte di un team. Al contrario, solo il 17% dei lavoratori “in presenza” (in ufficio) si sentono coinvolti nel team e nel progetto.

Da questo studio emerge quanto abbiamo scritto nei paragrafi precedenti. Utilizzando, quindi, i tool virtuali che la tecnologia ci mette a disposizione possiamo lavorare da casa e l’azienda stessa ne può trarre beneficio (si vedano gli studi e le proposte di https://www.familyworking.it).

Il problema, quindi, non è il “dove” ma il “come”.
Il leader può gestire e motivare le persone anche da remoto, l’intelligenza emotiva non richiede la co-locazione. Sono le abitudini mentali “euristiche” e inconspevoli, quelle che Kahneman definisce i pensieri veloci [8], che ci portano ad attuare modelli spesso automatici e non conformi alla mutevole realtà.

Team Leader Estroversi e Introversi

Il leader diventa quindi un motivatore, un coach, una persona che mette al centro le persone e le loro dinamiche. Ascolta e fa sentire accolte le esigenze di ognuno, sa di poter comunicare con linguaggi non verbali e, anzi, li utilizza con attenzione.

Uno  degli aspetti che il leader deve considerare è descritto nell’articolo “Introverts, Extroverts, and the Complexities” [2].

I team, e quindi i leader vengono suddivisi in introversi ed estroversi attraverso appositi questionari finalizzati a capire quali sono le loro caratteristiche di base.

Team leaders estroversi hanno presa su team che necessitano di una guida forte che porti la vision. Trattasi, infatti di leader assertivi che indicano la direzione in modo chiaro e lavorano meglio con team introversi.

Se però un leader estroverso si trova a gestire un team proattivo, energico e che prende iniziative (team estroverso), allora il suo lavoro non è altrettanto efficace.

In questi casi sono i team leader introversi ad avere la meglio, poiché, con le loro caratteristiche, attivano l’ascolto e l’empatia, entrambe caratteristiche più “sviluppate” rispetto ai leader estroversi.

Il leader attiva un moto “da” anziché un moto “per”, ovvero riesce a motivare le persone affinché “partano” per un obiettivo che hanno identificato anziché impacchettare un obiettivo da far poi perseguire al team.

Il leader incoraggia le domande e gestisce i fallimenti rielaborandoli al fine di attuare il “miglioramento continuo” del team e del progetto.

Conclusioni

Team di successo, persone nello stato di flusso, intelligenza emotiva sono concetti, come abbiamo visto, strettamente correlati come anche Yost e Tucker [7] evidenziano e sono più importanti delle competenze tecniche.

Abbiamo visto che i team hanno codici comunicativi di gruppo tanto più sviluppati quanto i singoli componenti posseggono alcune soft-skills sviluppate, come l’auto-consapevolezza.

Abbiamo, quindi, esplorato lo “stato di flusso” che mantiene le persone ad alti livelli di consapevolezza perché è in grado di “espandere” lo stato emotivo.
In questo stato le persone sono “felici” e anti-fragili.

Infine, abbiamo visto gli altri key factors che un leader deve sviluppare all’interno di un team.

Da queste analisi emerge chiaramente che per avere un team performante non possiamo puntare solo sull’eccellenza delle skills tecniche.
Il leader, attraverso l’arma segreta dei neuroni specchio, deve mantenere un flusso comunicativo, una human attention ed un livello di trust tali da generare in ciascuna persona lo stato in cui può stare bene e trovarsi bene nel team. Si crea così una sorta di “social brain”, da altri definita “intelligenza collettiva”, che porta le persone a sentirsi parte di un team e non di un gruppo.

Riferimenti Bibliografici

[1]  Marcus Buckingham, Ashley Goodall. The Power of Hidden Teams, 2019

[2] Francesca Gino. Introverts, Extroverts, and the Complexities of Team Dynamics, 2015  

[3] Johnson, D.W., & Johnson, R.T. Learning together and alone: Cooperative, competitive, 1999

[4] Julio Velasco "La differenza tra gruppo e squadra

 

[5] D. Marquet. Turn the ship around, 2015

 

[6] D. Goleman. Intelligenza Emotiva, BUR, 2011

 

[7] Yost, C.A., & Tucker, M.L. Are effective teams more emotionally intelligent? 2000

 

[8] Daniel Kahneman. Pensieri lenti e veloci, Mondadori, 2017

Stato di Flusso e Team Agili

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Introduzione

Non occorre essere uno Scrum Master per occuparsi di team Agili.

Varie figure nelle aziende gestiscono team, in base alframework o al modello di gestione di persone/progetti che si utilizza.

Una volta chiarito cosa intendiamo per team, la domanda successiva è: come possiamo gestirlo al meglio?

Ma cosa vuol dire "meglio"? Vuol dire più performante per l'azienda oppure la risposta può essere centrata sulle persone che compongono il team?

Lo Stato di Flusso

Goleman definisce lo stato di flusso come uno stato in cui le persone, al di là del contesto in cui operano, sono felici, antifragili, e concentrate al massimo su ciò che stanno facendo. Certo è uno stato che non può essere indotto dalla proprie competenze tecniche o da direttive di responsabili di vario livello. Il leader, ovvero colui che gestisce il team, dovrebbe creare le condizioni che portano le persone ad entrare in questo stato.

Non stiamo parlando di qualche strana tecnica esoterica e neanche di mettere in una stanza il team con uno psicologo. Stiamo solo formalizzando il fatto che lavorare in uno stato di "benessere" ci rende più produttivi e più inclini a gestire ed accettare il cambiamento.

Cosa deve fare il leader

E' la domanda centrale. Quali condizioni deve "settare" il leader? Quali atteggiamenti deve tenere e quali sono i linguaggi da utilizzare?

Perchè un leader influenza, col suo comportamento, quello dei membri del team? 

Dabbiamo mettere insieme alcune competenze per rispondere: alcuni punti del manifesto sull'Agilità, la definizione di antifragilità, le neuroscienze, e magari un pò di pallavolo....

Approdondirò tutti questi temi in un corposo articolo in pubblicazione su questo sito nei prossimi giorni.

Stay tuned!

Team Agili e neuroscienze per gestire il lavoro da remoto

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Introduzione

Una conversazione faccia a faccia è il modo più efficiente e più efficace per comunicare con il team ed all'interno del team.

E’ uno dei punti del manifesto agile che trovate qui: https://agilemanifesto.org/iso/it/principles.html

E’ esperienza di tutti i giorni, in ambito progettuale, che la co-locazione del team facilita molto la comunicazione.

Come fare però in un momento in cui ci viene imposto di lavorare in remoto? 

Non siamo più nel mindset Agile? Ancora oggi con la crescita della disponibilità di banda e numerosi strumenti di video call nonché lavagne virtuali e chat professionali, è ancora necessario essere co-locati?

Cos’è un Team

Vi ricordate di Velasco l’allenatore della nazionale di Volley negli anni 90 dello scorso secolo? Trovate un bellissimo video di un suo intervento alla conferenza TedX in cui molto chiaramente descrive la differenza tra un gruppo ed una squadra. La squadra non ha solo obiettivi comuni ma ha anche ruoli e interazioni ben definite. Il team, nei progetti agili, è sicuramente una squadra in cui ognuno ha ruoli ben definiti e in cui la comunicazione avviene in presenza. Uno dei ruoli più importanti in questi team sono le persone che facilitano la comunicazione e aiutano a superare i problemi: lo Scrum Master ma anche leader aziendali al di fuori del team.

Un giorno però arriva un evento, un Cigno Nero? 

Diciamo un evento molto impattante che ci costringe a cambiare modus operandi e modalità comunicativa nel giro di pochi giorni.

Dobbiamo resistere e essere più forti dell’evento che si è verificato.

Resistiamo?

Qualcuno vorrebbe, o per semplicità pensa, che adottare un comportamento resiliente sia la soluzione migliore, ma essere resiliente vorrebbe dire resistere, ma resistere a cosa?

Se resisto allora continuo ad andare in ufficio malgrado i rischi del momento? Oppure devo resistere e stare a casa ma senza cambiare le mie abitudini e quindi portando nel quotidiano (senza riuscirci) le stesse modalità di lavoro che avevo prima?

Evolviamo

Forse meglio evolvere, come ci consiglia la natura stessa e come Nassir Taleb formalizza nel suo libro sull’Antifragilità. 

A fronte di un evento “traumatico”, in natura, sopravvivono solo gli elementi che riescono a modificarsi ed adattarsi alla nuova situazione. 

I team devono quindi evolvere allo stesso modo incorporando un midset Antifragile nell’Agilità.

Interagire diversamente

Apriamo una piccola parentesi e vediamo cosa dicono le neuroscienze su questo argomento.

Nel progetto Aristotele, sviluppato da Google nel 2013, si vide, dopo aver osservato molti team, che le dinamiche interpersonali erano più importanti delle competenze individuali.

Del resto anche le neuroscienze ormai fanno emergere che la percezione è più vera della realtà. In risposta al nostro percepito l’organismo produce sostanze chimiche che ci aiutano nelle reazioni. I neuroni specchio di diverse persone si connettono come fossero un sistema generando connessioni emotive nuove delle dinamiche interpersonali . In questo senso la realtà che viviamo è meno vera. Dobbiamo, secondo le neuroscienze, credere nelle nostre percezioni che sono il vero strumento di comunicazione remota che la natura ci ha messo a disposizione.

In questo contesto il leader (da alcuni identificato come manager) che ricopre ruoli aziendali al di fuori del team, deve costantemente aiutare il team, esserne il coach. In una modalità di comunicazione remota in cui si usano telecamere e microfoni, gli stessi componenti del team sentendosi intimiditi dalla distanza o dalla scarsa conoscenza reciproca rinunciano ad approfondire o chiedere spiegazioni, preferendo proseguire il lavoro sulla base di ciò che credono di aver compreso. Si finisce quindi per adottare un modello “distante” di comunicazione.

E’ importante quindi che i leader  comprendano la necessità di raddoppiare gli sforzi nella gestione dei team virtuali e che ogni sforzo debba essere declinato nella duplice prospettiva: maggiore strutturazione del lavoro e maggiore comunicazione e socializzazione. 

In casi estremi è anche possibile organizzare incontri remoti faccia a faccia per sbloccare le dinamiche oppure ricorrere alla gamification per creare, anche da remoto, un certo feeling tra i componenti del team.

Altro punto di attenzione è l’orario lavorativo. Lavorare in remoto può voler dire fusi orari differenti o anche, soprattutto in questo periodo, avere orari lavorativi da far coincidere con una convivenza domestica (figli a casa). Un altro aspetto fondamentale è l’allineamento costante delle user stories, dei task, del product backlog e di tutto il materiale di progetto. Questo stesso materiale va costantemente messo a disposizione del team su board virtuali che utilizzino poi il meccanismo di notifica per avvisare dei cambiamenti. Vale infatti il principio del Manifesto che recita: “Accogliamo i cambiamenti nei requisiti, anche a stadi avanzati dello sviluppo. I processi agili sfruttano il cambiamento a favore del vantaggio competitivo del cliente.”. Ma naturalmente il cambiamento nei requisiti deve essere prontamente percepito da tutti.

Gli aspetti della comunicazione

E’ quindi importante che nella comunicazione, che avviene attraverso “nuovi” strumenti digitali siano presenti i seguenti aspetti.

Anzitutto la responsabilizzazione: comunicare responsabilità chiare, lasciando autonomia su progetti ai componenti del team.

Il coinvolgimento: generare entusiasmo promuovendo ambienti che celebrano la diversità e il lavoro di squadra. Ci sono molti strumenti visivamente “piacevoli” e con elevata interazione.

Il riconoscimento: riconoscere e premiare i collaboratori per prestazioni e contributi speciali, assicurando massima trasparenza, coinvolgimento e anche visibilità social.

La formazione: identificare un sistema di sviluppo e formazione continua per valutare e far crescere i collaboratori in base a ciò che fanno meglio. Questo concetto appartiene anche al manifesto Agile.

Infine valutare periodicamente ed insieme con il team l’efficacia delle modalità e degli stili di comunicazione adottati.

Conclusione

Grazie alle neuroscienze, agli strumenti virtuali, all’evento legato alla attuale pandemia, siamo costretti ad evolvere. Adattare nuovi stili di comunicazione e nuovi strumenti implica modificare il nostro mindset accogliendo e non resistendo. Rimangono però dei punti fermi: responsabilità, coinvolgimento, formazione e riconoscimento devono sempre, e forse più di prima essere presenti nella gestione del gruppo. Il leader o manager è chiamato a fare un ulteriore sforzo per coordinare e mantenere viva la comunicazione mettendo a disposizione le proprie capacità di coach nell’accoglienza delle difficoltà dei singoli. Il leader è quindi un allenatore per la squadra che “avvicina” i componenti del team, ma senza ritornare a concetti di co-locazione che, speriamo, siano definitivamente superati e non ritenuti più necessari.

Leadership e spiritualità

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Recentemente, un filone americano di studi ha lanciato l’idea di valorizzare il "capitale spirituale" come variabile fondamentale per la produttività delle organizzazioni aziendali e nei luoghi di lavoro.

Di spiritualità se ne parla poco e spesso male, confondendo la spiritualità con la religione. In verità, quando intratteniamo un dialogo costante e fecondo con la nostra anima e ci prendiamo cura dei suoi bisogni la nostra vita prende una direzione diversa. Del resto Gardner, con la teoria delle intelligenze multiple, e Goleman, con il paradigma dell’intelligenza emozionale, hanno già aperto la strada a visioni diverse del nostro modo di farci strada nella vita. L’intelligenza spirituale è la capacità di ascolto dell’anima, quella marcia in più che trasforma la motivazione in passione, la volontà in vocazione, la fiducia in fede e la capacità in responsabilità. Perché, dunque, non utilizzarla come driver nei modelli di leadership?

S. Covey, ne L’ottava regola mette a confronto la leadership come posizione (autorità formale) e la leadership come scelta (autorità morale).

La dicitura "autorità morale" è - di fatto - un ossimoro che racchiude tutta la potenza delle dicotomie generative: autorità morale significa ottenere influenza seguendo principi etici. Autorità morale significa uno stato di presenza, guidato dallo "spirito di servizio" al di sopra di sé stessi.

Quando leader con autorità formale o potere, dato dalla loro posizione, si rifiutano di usarlo se non come ultima risorsa, aumentano la loro autorità morale. Infatti, mettono da parte l’ego e, al suo posto, utilizzano qualità come persuasione, gentilezza, empatia e, in breve lealtà.

Otto Scharmer con la sua U-Theory (una delle metodologia più innovative nel panorama del change management) ci insegna a co-progettare soluzioni efficaci per le organizzazioni, in un panorama complesso, come il mercato del lavoro, caratterizzato da volatilità, incertezza e ambiguità.

Secondo Scharmer la differenza la fa il punto di consapevolezza da cui hanno origine le nostre azioni. E leadership diventa allora la "capacità di spostare il luogo interno da cui operiamo".

Il modo in cui si presta attenzione dà forma al dispiegarsi della realtà sociale attorno a noi, perché l’energia segue l’attenzione.

Ovunque poniamo attenzione come leader, innovatori, genitori, agenti del cambiamento, lì si indirizzerà l'energia del sistema che ci circonda, inclusa la nostra stessa energia.

La chiave della grande leadership risiede, quindi, nella capacità di restare concentrati.

Purtroppo, però, nostra abitudine a pensare per pensare – osserva Kabat Zinn, il fondatore della Mindfulness - ha, tra le varie conseguenze, quella di espellere dalla mente (che qui intendiamo come il nostro campo di coscienza) alcune qualità, in primis, la consapevolezza. Noi tutti tendiamo a sfuggire la consapevolezza per rimanere attaccati ad una visione fasulla del mondo, incentrata su un punto di vista egoico.

La visione del leader oggi, invece, non può più essere quella del capo che si mette davanti al gruppo e lo guida verso gli obiettivi, ma deve necessariamente uscire dalla logica di pensiero ego-centrata, per entrare in uno stato di consapevolezza eco-sistemica e portarsi al passo con la realtà del nostro mondo globalmente interconnesso. Diventa allora fondamentale dotarsi di strumenti di crescita personale che consentano al leader di attivare un nuovo paradigma di pensiero con cui lavorare prima su di sé e poi nel gruppo (di cui lui stesso fa parte). Il nuovo mind-set di competenze implica una qualità di ascolto e di presenza che consentano al leader di percepire le sfide del futuro, di ispirare il gruppo, di creare nuove possibilità di sviluppo.

La leva economica, infatti, non è più sufficiente a spiegare il benessere soggettivo e la felicità è veramente tale solo nella reciprocità. Non è un caso che nel 2006 l’Oms abbia aggiunto alle condizioni del benessere anche quello spirituale, di cui già ci parlava Maslow come ultimo gradino in cima alla piramide dei bisogni.

Ogni uomo deve decidere se camminerà nella luce dell'altruismo creativo o nel buio dell'egoismo distruttivo Martin Luther King

Nel mondo di oggi, in rapida e drammatica evoluzione, l'affermazione di sé dipende sempre più da come interagiamo con gli altri. Lo dimostra Adam Grant, giovane e brillante docente alla Wharton School, che nel libro Più dai più hai traccia tre profili che corrispondono ad altrettanti stili di azione: il giver (colui che antepone il dare al ricevere), il matcher (colui che, nel rapporto dare-avere punta al pareggio), il taker (colui che prende e basta):

I givers di successo sono quelli che hanno a cuore sia gli interessi degli altri che i propri,

diventando strategici nel modo in cui donano. Sono generosi con altri givers o matchers, in modo da massimizzare i risultati. Donare è un comportamento virale, ed i givers, mandando energia positiva nel loro network, attraggono nel tempo persone simili a loro, creando quindi una rete ricca di opportunità condivise con tanti.

Quali sono, allora le qualità che può coltivare un leader che vuole portare spiritualità e benessere all'interno della sua organizzazione?

Inanzitutto la gentilezza.

Oggi il termine “gentilezza” abbraccia una gamma di sentimenti descritti con parole diverse: solidarietà, generosità, altruismo, benevolenza, umanità, compassione, pietà, empatia. In passato questi sentimenti erano conosciuti con altri nomi: philantropia (amore per l’umanità) e caritas (amore per il prossimo). I significati cambiano, ma tutti questi termini rimandano all'idea di “cuore aperto”, cioè essere bendisposti verso gli altri.

In secondo luogo l’ascolto. Secondo Scharmer ci sono 4 livelli di ascolto 1. Ascolto di downloading (ascoltare quel che ci si aspetta di sentire) 2. Ascolto fattivo (prestare attenzione a ciò che ci sorprende) 3. Ascolto empatico (entrare nel punto di vista dell’altro) e 4. Ascolto generativo (connettersi con il futuro, lasciando andare il passato).

L’arte della leadership consiste, allora, nel facilitare il passaggio da un tipo di ascolto ad un altro.

Ed infine la fiducia, intesa come sentimento di base dell’anima, sulla quale si può fondare una vita attiva, dedita al bene e alla giustizia. L’anima è il tutto, è libera, inclusiva e già perfetta così com'è, senza bisogni e senza desideri.

Nella visione egoica si generano energie conflittuali, perché predominano barriere e inquinanti. La visione del mondo animica, invece, crea una campo di energie positive e di relazioni armoniche che possono facilmente divenire contagiosi e contribuire fattivamente a generare benesssere e crescita feconda in qualunque organizzazione.

Meditate, gente, meditate...

Trovate questo articolo anche sul mio blog, Allena i Pensieri.